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Da Karl Marx a John le Carré: “la storia fino ad oggi esistita è storia di complotti e servizi segreti”.

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Ogni qual volta il mondo è agitato da eventi tragici, simili a quello accaduto a Parigi nel venerdì 13 novembre 2015, come funghi, spuntano tesi cospiratorie che leggono ogni avvenimento attraverso la pericolosissima lente deformante del complotto e della onnipresente pervasività dei servizi segreti. Sia chiaro, non credo alle baggianate sul conflitto di civiltà che già ci propinarono negli anni Novanta per giustificare la sopravvivenza della alleanza militare (dunque del dominio economico produttivo) occidentale dopo la fine della guerra fredda, né ancora meno credo a un Occidente vittima, assediato per i suoi valori di libertà da un’orda barbarica senza forma né sembianze.
Al contrario, la nascita di questa galassia (appiattita nella definizione generica di “fondamentalismo islamico”) è stata favorita, finanziata, armata, consolidata e coccolata dall’Occidente sin dagli anni Settanta e ancora continua a servirsene o comunque non ostacolarla. Chiarito tutto ciò, trovo assurdo che, proprio a sinistra, tanti non riconoscano a questo movimento una sua autonoma soggettività e se vogliamo una dignità politica (che non significa certo legittimarla), intesa come reazione (distruttiva, folle e retrograda) ai rapporti di sfruttamento e dominio imposti dall’Occidente attraversi secoli di colonialismo prima e imperialismo poi. Dire che tutto ciò è (esclusivamente) frutto di una cospirazione dell’Occidente e dell’azione dei suoi servizi di intelligence significa infatti non aprire gli occhi su un fenomeno di massa e internazionale di cui ancora non comprendiamo i contorni e le potenzialità (distruttive). Se nelle periferie delle grandi capitali occidentali si reclutano migliaia di militanti pronti a morire e dall’Africa sub-sahariana al vicino e medio Oriente si formano divisioni così ampie di combattenti (al di là delle forme di finanziamento palesi o occulte e delle protezioni internazionali godute), io andrei a indagare gli effetti dell’imperialismo e dell’esclusione sociale a Parigi, Bruxelles o Berlino, anziché acchiappare le nuvole del complottismo, perché lì vanno ricercate le cause di un fenomeno di tali dimensioni.


Chiaro, esistono e sono operative molteplici forme di azioni e reazioni non palesi, di dissimulazione della realtà a partire dalle sue forme di rappresentazione, tuttavia, mi rifiuto di credere che il motore della storia siano i complotti. Se ci limitiamo a questa lettura arriviamo alla conclusione demenziale che tutti questi milioni di militanti sono agenti dei servizi segreti o menti deboli da essi plagiate, non è così. L’origine dell’Isis (come fenomeno) va cercata nell’imperialismo e nelle disuguaglianze dell’Occidente. I complotti e le trame dei servizi segreti esistono, certo, ma sono solo elementi di contorno non il dato principale di questo processo storico. Se ragionassimo così, per analogia, dovremmo credere veramente alla vecchia tesi che individuava nell’omicidio dell’Arciduca Francesco Ferdinando l’evento scatenante della prima guerra mondiale o pensare alla stessa Rivoluzione di Ottobre come il frutto dell’azione cospiratoria del governo tedesco. Il considerare tutto questo mondo radicale solo ed esclusivamente una creazione dell’Occidente, non un movimento nato da cause reali e razionali da indagare, nasconde un inconsapevole paternalismo occidentale speculare a quello di quanti da sempre legittimano e (appunto) dissimulano le forme di dominio e sfruttamento occidentale.

Occorre tornare a categorie più razionali di valutazione della realtà se vogliamo comprenderla, un problema che Engels riprese nel famoso saggio antideterminista Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca. La famosa proposizione di Hegel «ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale» è stata spesso interpretata come la legittimazione filosofica di tutto quel che esiste, compresi governi dispotici e reazionari, ma in realtà, secondo Engels, essa non aveva questo significato per Hegel. Egli applicava l’attributo di «reale» solo a ciò che è anche «necessario» – dunque non qualsiasi misura del governo può ritenersi tale – e ciò che è «necessario» è anche «razionale». Questa proposizione applicata all’entità statuale prussiana significa per Hegel che questo Stato corrisponde alla ragione nella misura in cui si pone come necessario: «se esso ci appare cattivo e ciò nonostante continua ad esistere, benché sia cattivo, la cattiva qualità del governo trova la sua giustificazione e la sua spiegazione nella corrispondente cattiva qualità dei sudditi. I prussiani di allora avevano il governo che si meritavano»[1].

Occorre mettersi a studiare per capirci qualcosa, ci vorranno decenni per venirne a capo, ma arrivare alla semplice individuazione delle trame oscure e cospiratorie come origine e fine di tutto significa partire con il piede sbagliato, credo.

Gianni Fresu

[1] Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni Rinascita, Roma, 1950. Traduzione dall’edizione originale tedesca del 1888 di Palmiro Togliatti, p. 12.

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.