Nei Quaderni la profezia di Gramsci

Nei Quaderni la profezia di Gramsci

«Il vecchio mondo muore e il nuovo non può nascere»

Martedì 19 maggio 2009
La prima guerra mondiale provocò nella società europea una grave crisi economica, politica e culturale. La guerra era stata invocata come progresso e igiene dell’umanità ma dopo la sbornia di retorica patriottica e militare quel che restava era un quadro sociale profondamente disgregato segnato da alcuni fattori destinati a deflagrare tra loro: l’inefficacia e l’instabilità del sistema liberale, l’impoverimento e il ridimensionamento dei ceti medi, l’irrompere sulla scena delle grandi masse popolari mobilitate durante il conflitto. Gli storici hanno poi parlato di crisi morale e d’identità di una borghesia resa inquieta dalla crescita del movimento operaio e contadino e timorosa per l’esempio della rivoluzione dell’ottobre ’17. Un contesto drammatico e insieme esaltante, dove il vecchio mondo sembrava destinato a morire da un momento all’altro, che segnò Gramsci nelle scelte di vita, consacrata alla militanza politica, e nel percorso teorico, sempre problematicamente rivolto all’insieme di queste contraddizioni.
L’Italia costituiva un punto nevralgico della crisi di civiltà europea, non è un caso se qui si formarono le condizioni per la nascita e l’avvento del fascismo, e l’opera dei Quaderni dal carcere ne analizza sistematicamente cause ed effetti. Quando una classe perde consenso e cessa di essere dirigente, limitandosi ad essere dominante attraverso l’uso della forza coattiva, vuol dire che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali e dai vecchi valori. La crisi del dopoguerra è sintetizzata in queste note, contenute nell’ottavo volume in uscita domani, da una celebre frase dell’intellettuale sardo: «il vecchio muore e il nuovo non può nascere».
A fronte di un decadimento irreversibile del vecchio ordine liberale non era corrisposto il suo superamento da parte di un ordine nuovo, il socialismo, per l’immaturità, il paternalismo e il dilettantismo del suo movimento. In situazioni di tale tipo si moltiplicano le possibili soluzioni di forza, i rischi di sovversivismo reazionario, le operazioni oscure sotto la guida di capi carismatici. Questa frattura tra rappresentati e rappresentanti porta per riflesso al rafforzamento di tutti quegli organismi relativamente indipendenti dalle oscillazioni dell’opinione pubblica come la burocrazia militare e civile, l’alta finanza, la chiesa. Dietro alla crisi di egemonia del regime liberale in Italia c’era l’inutile sforzo per la guerra, con il suo carico di promesse millantate non mantenute, e l’irrompere di soggetti sociali prima passivi. Il fascismo era la logica conseguenza di una condizione di stallo dove nessun gruppo, né quello conservativo né quello progressivo, aveva la forza necessaria per la vittoria definitiva. L’uso della forza, sia quella tradizionale dello Stato, sia quella illegale delle squadre paramilitari di Mussolini divengono allora per Gramsci il mezzo con il quale le vecchie classi dirigenti tentano di sopperire alla morte del vecchio mondo impedendo con ogni mezzo la nascita di quello nuovo.
GIANNI FRESU

 

Gramsci il più originale comunista

«Gramsci il più originale comunista»

Fuori dai dogmi individuò i limiti dell’ideologia marxista

Martedì 12 maggio 2009
Nel volume in uscita domani (Quaderno 4) Gramsci individua alcuni filoni di ricerca per lo studio di materialismo e idealismo e per costruire una storia del marxismo con due obiettivi: chiarirne processi evolutivi e limiti; delineare un nuovo quadro ideologico capace di incidere sulla realtà e trasformarla. Queste riflessioni filosofiche sul marxismo prendono le mosse dai criteri metodologici necessari a inquadrare l’opera del suo principale ispiratore. Se si intende studiare un autore, la cui concezione del mondo non è mai stata esposta sistematicamente e nella quale si intrecciano strettamente attività teorica e pratica, bisogna ricostruirne con attenzione la biografia attraverso l’analisi di tutte le opere, gli scritti minori e le lettere secondo una successione cronologica che ne colga il leit- motive.
Nello studio di un autore bisogna distinguere le opere da lui condotte a termine e pubblicate da quelle non compiute e inedite, poiché il contenuto di queste va esaminato con molta più cautela e attenzione, proprio per la loro natura di materiale provvisorio e in elaborazione su cui l’autore sarebbe probabilmente ritornato sopra. In queste note l’intellettuale sardo sembra delineare la mappa per inoltrarsi nel mare magnum del pensiero di Karl Marx ma fornisce insieme alcune bussole di orientamento per accingersi allo studio della sua stessa opera e dei Quaderni. Nelle note Gramsci si sofferma sul processo di involuzione e volgarizzazione filosofica del marxismo dopo Marx ed Engels. Se il marxismo originario costituiva il superamento della più alta manifestazione culturale del tempo, la filosofia classica tedesca, il marxismo successivo del passaggio tra Ottocento e Novecento si dimostra incapace di abbracciare e comprendere l’uomo in tutti i suoi aspetti e deve servirsi degli apporti di altre filosofie. Eric Hobsmawm, uno dei massimi storici del Novecento ha definito Antonio Gramsci «il più originale pensatore comunista che abbia operato in Occidente nel XX secolo» proprio per la ricchezza del suo approccio al marxismo e il rifiuto a rinchiudersi in letture meccaniche ed elementari della realtà economico-sociale, politica e culturale. Indagare le ragioni per le quali il marxismo è risultato assimilabile, per alcuni suoi aspetti non trascurabili, tanto all’idealismo quanto al materialismo volgare è secondo Gramsci un compito estremamente complesso, perché dovrebbe condurre non solo a chiarire quali elementi siano stati assorbiti “esplicitamente” dall’idealismo e da altre correnti di pensiero, ma anche svelare gli assorbimenti “impliciti” e non confessati, quelli dovuti al fatto che il marxismo è stato un momento della cultura, un’atmosfera diffusa che in quanto tale ha modificato, spesso inconsapevolmente, i vecchi modi di pensare. Avviare un’indagine di questo tipo, dunque, equivarrebbe a fare una storia della cultura moderna dopo Marx ed Engels e richiederebbe anche uno studio degli insegnamenti pratici che il marxismo ha dato ai partiti e alle correnti di pensiero ad esso avverse.
GIANNI FRESU

 

Gramsci e l’ammirazione per Goethe

Gramsci e l’ammirazione per Goethe

Il poeta tedesco è una figura molto presente nei Quaderni

Martedì 05 maggio 2009
Il terzo Quaderno di traduzioni, riprodotto nel volume in uscita domani, oltre a proseguire lo studio sui ceppi linguistici di Franz Nikolaus Finck, contiene le traduzioni delle “Conversazioni con Goethe” di Eckermann. Le Conversazioni raccolgono le memorie del grande poeta e scrittore tedesco attraverso i colloqui con il suo segretario Joahn Peter Eckermann. Goethe è stato definito un genio universale per la versatilità del suo estro manifestatosi in diversi campi del sapere, poesia, letteratura, scienza, filosofia. Eckermann tramite i ricordi ne ricostruisce l’universo ideale, il mondo e i valori, fino a tratteggiare un affresco biografico ritenuto uno dei più grandi patrimoni della letteratura occidentale, definito da Niezstche “il miglior libro tedesco mai scritto”.
Goethe è una figura sistematicamente presente nei Quaderni come nelle lettere. Per Gramsci ogni nazione ha un letterato che ne riassume in qualche modo la gloria intellettuale, Shakespeare per l’Inghilterra, Cervantes per la Spagna, Dante per l’Italia, Goethe per la Germania. Tuttavia solo Shakespeare e Goethe possono ritenersi figure intellettuali operanti anche nell’età contemporanea, autori attuali, per la loro capacità “d’insegnare come dei filosofi quello che dobbiamo credere, come poeti quello che dobbiamo intuire (sentire), come uomini quello che dobbiamo fare”. In Goethe Gramsci intravede una forza politico-culturale capace di varcare il suo tempo e imporsi al presente: “solo Goethe è sempre di una certa attualità, perché egli esprime in forma serena e classica ciò che nel Leopardi è ancora torbido romanticismo”.
Si comprende dunque, nel lavoro di traduzione preliminare allo studio dei Quaderni, l’importanza di quest’opera essenziale per comprendere il grande poeta tedesco e rispetto alla quale c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione. La lettura delle Conversazioni con Goethe nella condizione di detenzione accomuna l’esperienza di Gramsci con quella di un grande critico letterario francese vissuto negli stessi anni. Nel Quaderno I Gramsci riporta alcuni stralci delle Impressioni di prigionia di Jacques Rivière, storico editore della “Nouvelle Revue Française”, pubblicate nel 1928 tre anni dopo la sua morte. In esse Rivière raccontava le vessazioni subite durante la prigionia nella prima guerra mondiale, in particolare l’umiliazione patita nel corso di una perquisizione nella sua cella, quando vennero sequestrate le sue poche cose e soprattutto l’unico libro che aveva con sé, appunto le Conversazioni con Goethe.
Gramsci ha trascritto le sensazioni di disperazione e angoscia del francese per lo stato brutale e incerto di una prigionia, vissuta come un’ineliminabile “stretta al cuore”, nella quale si è costantemente esposti a ogni tipo di angheria e la condizione di oppressione fisica e psichica diviene insopportabile.
Un’angoscia condivisa dall’intellettuale sardo che non a caso concluse queste note scrivendo del pianto in carcere “quando l’idea della morte si presenta per la prima volta e si diventa vecchi d’un colpo”.

 

Il Risorgimento, l’occasione fallita

Il Risorgimento, l’occasione fallita

Nei Quaderni del carcere viene analizzata la storia d’Italia

Martedì 28 aprile 2009
Il sesto volume in uscita domani contiene il Quaderno 9 nel quale Gramsci delinea la struttura della sua ricerca sul Risorgimento italiano, poi sviluppata in dettaglio nel resto dell’opera. Qui vengono ipotizzati due lavori distinti: uno specifico sull’Età del Risorgimento e uno di introduzione al tema, costituito da una raccolta di saggi sulle diverse fasi della storia mondiale e le ripercussioni di questa sulla storia italiana. Il periodo storico compreso è molto vasto: dalla caduta dell’Impero romano al Medio Evo; dall’Età del mercantilismo e delle monarchie assolute all’Età liberale. Nel riconsiderare il Risorgimento Gramsci si pone l’obiettivo di distruggere le «concezioni antiquate, retoriche» e oleografiche della storia nazionale. L’intellettuale sardo individua i limiti essenziali della realtà politica e sociale italiana, compreso l’avvento del fascismo, entro la cornice di una debolezza congenita delle sue classi dirigenti. Limiti che affondano le radici indietro nel tempo, ben prima dell’Ottocento, nell’arresto dello sviluppo capitalistico della civiltà comunale, nella natura cosmopolita dei suoi ceti intellettuali, nella mancata formazione di uno Stato unitario moderno, prima che una serie di coincidenze internazionali consentissero tale processo.
La pretesa di concepire e presentare il Risorgimento come fatto essenzialmente italiano tradiva il provincialismo e la poca attendibilità scientifica di tanta parte della storiografia italiana. Il concetto di “personalità nazionale” era cioè una mera astrazione se considerata al di fuori dei rapporti internazionali. Il Risorgimento non potrebbe spiegarsi senza tenere conto dei mutamenti che si producono negli equilibri europei tra Settecento e Ottocento, della rivoluzione francese, della diffusione dei principi universali del liberalismo. Le interpretazioni del Risorgimento erano molteplici e disparate, e anche questa “ricchezza” sarebbe stata in realtà un manifesto della debolezza delle forze che lo hanno prodotto, della carenza di elementi sufficientemente nazionali, della mancanza di uno “spirito nazionale popolare”. L’insieme di queste interpretazioni aveva un carattere immediatamente politico e non storico, oltre ad essere affetta da una certa astrattezza e tendenziosità di fondo. Per l’autore, si trattava di una letteratura che germoglia nelle fasi più acute di crisi politico-sociale, segnate dal distacco tra governanti e governati e dalle paure per i rischi di travolgimento della vita nazionale nei suoi equilibri conservatori.
È in queste condizioni che i ceti intellettuali si prodigano nella riorganizzazione di correnti ideologiche e di forze politiche in crisi. Anche attraverso l’utilizzo strumentale della storia si esercita il dominio politico, ecco perché la cosiddetta ideologia è una tra le più essenziali funzioni di governo. Ecco perché, per Gramsci, ciò che si intende per Stato non va limitato a governo, magistratura e polizia ma esteso al concetto di egemonia sociale e alla funzione politica degli intellettuali e della cultura.
GIANNI FRESU

 

Gramsci contro la casta e i leader

Gramsci contro la casta e i leader

Il grande pensatore sardo critica la politica gestita dall’alto

Martedì 21 aprile 2009
Il quinto volume dell’edizione anastatica dei Quaderni del carcere, in uscita domani, riproduce il secondo Quaderno denominato Miscellanea, proprio per indicare la presenza di argomenti tra loro diversi e l’assenza di un filo conduttore principale. Tra essi uno emerge con particolare forza, dato che costituisce un grande tema non solo dei Quaderni ma dell’intera attività politica e teorica di Antonio Gramsci: il rapporto tra dirigenti e diretti nella scienza politica, l’utilizzo strumentale e interessato delle grandi masse da parte di ristretti gruppi che controllano oligarchicamente partiti politici, organizzazioni sociali, istituzioni rappresentative. Un tema di assoluta attualità, in un tempo nel quale con sempre più insistenza si discute della cosiddetta “casta” e si impone all’attenzione generale la crisi del rapporto di rappresentanza, la distanza della politica dai reali interessi popolari. Nel Quaderno 2, in particolare, Gramsci si sofferma sull’opera di Robert Michels che agli inizi del Novecento aveva analizzato questo fenomeno nelle organizzazioni del movimento operaio. Lo studioso tedesco affermava che nella democrazia la tendenza all’organizzazione e alla specializzazione delle funzioni di direzione politica è una conseguenza inevitabile. Ciò valeva particolarmente per i grandi partiti di massa dove il corpo vasto degli aderenti finiva per essere tiranneggiato da una minoranza dirigente, che trasformava l’organizzazione stessa da mezzo a fine. Nei Quaderni del carcere Gramsci esprime dei giudizi taglienti e sarcastici sugli studi di Michels sui partiti politici, definendoli superficiali e strumentali. Ciò nonostante per Gramsci essi ponevano problemi reali impossibili da trascurare per un’organizzazione politica che intendesse trasformare radicalmente la società. La stessa preoccupazione è presente, sempre nel Quaderno 2, nelle note dedicate al Generale Cadorna che a suo modo costituisce una figura rappresentativa della mentalità delle classi dirigenti italiane e un emblema della contraddizione tra governanti e governati. In politica come in caserma, per i gruppi dirigenti, una volta individuata la direttiva essa va applicata con obbedienza, senza discutere, senza sentire l’esigenza di spiegarne la necessità e la razionalità. Il “cadornismo” consiste nella persuasione che una determinata cosa sarà fatta perché il dirigente la ritiene giusta e razionale, e per questa ragione viene affermata come dato di fatto indiscutibile. Esso per molti versi è la metafora di un problema storico irrisolto: l’utilizzo strumentale delle masse, il fatto che esse finiscano per essere un materiale grezzo nelle mani del “capo carismatico” di turno. Il supermento del “cadornismo”, per Gramsci sarebbe dovuto avvenire attraverso il sostituirsi nella funzione direttiva di organismi politici collettivi e diffusi ai singoli individui, ai “capi carismatici”, fino a sconvolgere i vecchi schemi “naturalistici” dell’arte politica. L’antidoto al capo carismatico sarebbe stato l’intellettuale collettivo, ma questo è già un argomento dei quaderni successivi.
GIANNI FRESU

Gramsci, la passione per le lingue

Gramsci, la passione per le lingue

Chiuso in cella traduce di tutto e studia le diversità del sardo

Martedì 14 aprile 2009
L’interesse di Gramsci per la linguistica risale ai tormentati anni dello studio universitario nella grande Torino, resi difficili da salute cagionevole e disponibilità economiche che rasentavano la miseria più assoluta. Il giovane sardo attirò subito l’attenzione di uno dei più importanti studiosi di glottologia del tempo, Matteo Bartoli, e intensificò i rapporti con il docente di letteratura Umberto Cosmo, in passato professore al Liceo Dettori di Cagliari. Bartoli in particolare lo incoraggiò nello studio della linguistica sarda. Così non è inusuale trovare lettere ai familiari riguardanti questo tema. In una destinata al padre del 3 gennaio 1912 chiedeva quando nel dialetto fonnese la s «si pronuncia dolce, come in italiano rosa» e «quando dura, come sole», in altre destinate alla sorella chiedeva di informarsi circa alcune peculiarità del logudorese e del campidanese, su termini, pronunce, varianti. Non è dunque un caso se nei Quaderni tanta attenzione sia dedicata alla glottologia e in generale alla linguistica.
Il volume in uscita domani, con le traduzioni del manuale di Franz Nikolaus Finck, all’epoca l’opera più rigorosa di classificazione delle lingue del mondo, ne è una prima manifestazione. Dopo anni di militanza e un’intensa attività teorico-politica, le traduzioni di queste prime note dal carcere avevano un valore propedeutico, oltre che terapeutico, necessarie all’inizio di un lavoro “disinteressato” rispetto al quale le condizioni ambientali non aiutavano. È ancora una lettera alla cognata Tania del 15 settembre 1930, nella quale considerazioni personali e di studio si mischiano, ad accennarlo: «sarà perché tutta la mia formazione intellettuale è stata di ordine polemico; anche il pensare disinteressatamente mi è difficile, cioè lo studio per lo studio. Solo qualche volta, ma di rado, mi capita di dimenticarmi in un determinato ordine di riflessioni e di trovare per dir così, nelle cose in sé l’interesse per dedicarmi alla loro analisi. Ordinariamente mi è necessario pormi da un punto di vista dialogico o dialettico, altrimenti non sento alcuno stimolo intellettuale».
Al di là di questa valutazione autocritica, tratto caratteristico della personalità di Gramsci, le traduzioni e gli studi di linguistica sono condotti con assoluto rigore filologico, curiosità intellettuale e un metodo oggi analizzato con grande attenzione dagli specialisti della materia. Nel comunicare in una lettera la volontà di dedicarsi ad uno studio sistematico della linguistica comparata, egli confessò alla cognata Tania che uno dei suoi maggiori rimorsi intellettuali era «il dolore procurato al buon professor Bartoli dell’Università di Torino», che intravedeva per Gramsci un grande futuro tra i “neogrammatici”. Ma gli avvenimenti del “mondo grande, terribile e complicato”, che precedettero e seguirono la guerra, avevano spinto il giovane intellettuale sardo, come tanti della sua generazione, a trovare nell’impegno politico una nuova ragione di esistenza per la quale valeva la pena di rischiare tutto, compresa la vita.
GIANNI FRESU

 

I fratelli Grimm visti da Gramsci

I fratelli Grimm visti da Gramsci

Le traduzioni delle novelle raccolte nei Quaderni del carcere

Martedì 07 aprile 2009
Il terzo volume dei “Quaderni del carcere”, in uscita domani, contiene le traduzioni delle novelle dei fratelli Grimm curate da Gramsci agli inizi della sua carcerazione, una fase segnata da enormi difficoltà di concentrazione e avvio del piano di lavoro. Era infatti impossibile un rapporto di discussione con altri soggetti, necessario ad evitare un lavoro troppo autoriflessivo; era difficilissimo ottenere i mezzi per studiare con continuità e scrivere secondo un ordine razionale. Lo sconforto conseguente alle prime disordinate letture gli fanno dubitare sulle reali possibilità di riuscita del progetto. Così in una lettera a Tania, il 23 maggio 1927, annunciava di volersi dedicare a due attività con scopo terapeutico come gli esercizi ginnici e le traduzioni dalle lingue straniere: «Un vero e proprio studio credo mi sia impossibile, per tante ragioni non solo psicologiche ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente. Qualche cosa in tal senso forse incomincia ad avvenire per lo studio delle lingue, ora leggo le novelline dei fratelli Grimm. Sono proprio deciso a fare dello studio delle lingue la mia occupazione predominante».
Il terzo volume in edicola domani con L’Unione Sarda fa parte della collana di diciotto libri dedicati alla fedele riproduzione, in copia anastatica, dei “Quaderni del carcere”, scritti tra il 1929 e il 1935. Un’operazione culturale che ha ottenuto subito un’inaspettata risposta dai lettori ed è nata dalla collaborazione tra il giornale, l’Istituto Treccani, le Fondazioni Gramsci e Siotto.
Al di là dell’aspetto “terapeutico” le traduzioni dei fratelli Grimm presenti nel terzo volume sono importanti anche sul piano biografico. In una lettera alla sorella Teresina del 18 gennaio 1932, Gramsci scriveva di voler dare un suo piccolo contributo allo sviluppo della fantasia dei nipoti ricopiando e spedendo loro le traduzioni dei fratelli Grimm: «una serie di novelline popolari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini. Sono un po’ all’antica, alla paesana, ma la vita moderna, con la radio, l’aeroplano, il cine parlato, Carnera, ecc. non è ancora penetrato abbastanza a Ghilarza perché il gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal nostro di allora».
Pur provenendo dalla tradizione tedesca, le novelle, ambientate in boschi fitti e tenebrosi popolati di spiriti, streghe e folletti, non erano distanti dalla tradizione orale della fantasia popolare sarda e sembravano plasmarsi perfettamente sull’atmosfera della sua terra e del suo paese, un luogo «dove esisteranno sempre tipi all’antica come tia Adelina e Corroncu e le novelle avranno sempre un ambiente adatto». Queste traduzioni,rimasero escluse dalla pubblicazione delle precedenti edizioni dei Quaderni. La presente edizione ha il merito filologico di restituirle alla loro collocazione originaria, fornendo un quadro più esaustivo allo studio completo dell’opera.
GIANNI FRESU

 

Gramsci, l’alfiere del Mezzogiorno

Gramsci, l’alfiere del Mezzogiorno

Nel “Quaderno uno” l’analisi dei difficili rapporti tra Nord e Sud

Martedì 31 marzo 2009
Nel Quaderno uno è analizzato un tema organico all’intera opera, la debolezza delle classi dirigenti italiane: l’arresto dello sviluppo della civiltà comunale e la mancata formazione di uno Stato unitario moderno, i limiti del Risorgimento e l’assenza di una compiuta dialettica parlamentare in età liberale, il fenomeno del trasformismo. Il Risorgimento, tuttavia, è lo snodo analizzato maggiormente nel primo Quaderno, a iniziare dal fallimento delle prospettive democratiche del partito di Mazzini e dalla capacità egemonica dei Moderati di Cavour, i veri protagonisti dell’unificazione nazionale per l’intellettuale sardo. Il problema tutto italiano del “trasformismo” non era per Gramsci semplicemente un fenomeno di malcostume politico, bensì un preciso processo di cooptazione con il quale, dal Risorgimento in poi, si è ottenuto un consolidamento del potere politico attraverso la decapitazione e l’assorbimento dei gruppi avversi allo Stato.
L’importanza di queste analisi, che tratteggiano i termini essenziali di una “biografia nazionale”, è notevole sia per la storia che per la scienza politica e in esse sono contenute alcune tendenze che ciclicamente ricorrono nella vita politica italiana, specie nelle sue fasi di crisi. Ma l’originalità di tale analisi risiede nel comprendere che ogni sistema di potere si regge non solo sull’uso della forza ma anche sul consenso, sulla capacità di formare sul piano culturale e sociale ciò che comunemente si definsce “opinione pubblica”: la funzione essenziale degli intellettuali in una società moderna.
La famosa lettera scritta alla cognata Tania Schucht il 19 marzo 1927 dal carcere di Milano, nella quale Gramsci avanzava l’esigenza di dedicarsi ad un lavoro di ricerca “disinteressato” capace di occuparlo intensamente, costituisce un ponte tra l’analisi sulla Questione meridionale e quella dei Quaderni. Questa lettera è la prima esposizione del piano di lavoro ipotizzato per gli anni di detenzione. Già nel primo Quaderno, il tema dei rapporti tra Settentrione e Meridione è indagato con una prospettiva storica che investe le dinamiche del Risorgimento italiano e la funzione politica degli intellettuali. Per Gramsci l’Unità d’Italia si è realizzata attraverso una relazione squilibrata dove l’arricchimento e l’incremento industriale del Nord dipendevano dall’impoverimento del Mezzogiorno. Egli parla di uno sfruttamento semicoloniale occultato da tutta una letteratura che spiegava l’arretratezza del Sud con l’incapacità organica, l’inferiorità biologica, la barbarie congenita dell’uomo meridionale. Un Meridione liberato dal giogo borbonico, ritenuto fertile e ricco di risorse naturali, e ciò nonostante incapace di emanciparsi dalla miseria per ragioni tutte interne al Meridione stesso. Un Sud “palla al piede” che impediva al Nord un più rapido progresso verso la modernità industriale.
GIANNI FRESU

 

Gramsci in Asia e Africa

SalutiRettore Università di CagliariPresidente della Regione SardegnaAssessore regionale agli Affari GeneraliIntroduzione ai lavoriPaola Piras Preside della Facoltà di Scienze PoliticheGiangiacomo Ortu Direttore del Di.S.P.I.Emilio Bottazzi Responsabile Sezione Studi Africani e Orientali

Prima sessione

Gramsci e il mondo grande e terribileModeratoreGiorgio Serra(Terra Gramsci)Giorgio BarattaPresidente International Gramsci Society-Italia e della Rete Terra Gramsci“Un cosmopolitismo di tipo nuovo”Gianluca ScroccuUniversità di CagliariIl mondo visto da Torino. Asia e Africa nel lavoro politicoe culturale di Piero Gobetti e Antonio GramsciGianni FresuUniversità di CagliariStato, società c

 

ivile e subalterni

in Antonio GramsciLuisa RighiFondazione Istituto GramsciLa bibliografia gramsciana on line: uno strumento di lavoroper una comunità globaleProiezione del filmato: Terra Gramsci – dalla Sardegna a

lmondo; dal mondo alla Sardegnaproduzione: Terra Gramsci 2009Dibattito

 

 

 

 

 

 

Seconda sessione

La diffusione del pensiero di Antonio Gramsciin Africa e nel Vicino Oriente

ModeratoreAnnamaria BaldussiBianca CarcangiuUniversità di Cagliar

iL’Africa negli scritti di Antonio GramsciElena VezzadiniUniversità di Bergen

Da Gramsci ai Subaltern Studies: per una storiografiapost-coloniale dell’AfricaDerek BoothmanUniversità di Bologna

Gramsci: la Palestina e il mondo araboMauro PalaUniversità di Cagliari

Gramsci: the Empire writes backPatrizia ManduchiUniversità di Cagliari

Gramsci nel dibattito politico arabo contemporaneo

Dibattito

 

 

Terza sessione

La diffusione del pensiero di Antonio Gramsci in Asia

moderatoreBarbara Onnis(Università di Cagliari)Annamaria BaldussiUniversità di Cagliari

I soggetti subalterni nella formazione delle nuove nazioniasiaticheCosimo ZeneSchool of Oriental and African Studies, LondraL’autocoscienza dei Dalits (‘Intoccabili’) come subalterni.

Riflessioni su Gramsci nel Sud dell’AsiaMarianna ScarfoneUniversità di Parigi VII

La ricezione di Gramsci in India: i Subaltern StudiesAndrea DurantiUniversità di Cagliari

Modelli egemonici e “ordine nuovo”: Gramsci e la dissidenzairaniana trent’anni dopo la rivoluzione

Andrea PiraFondazione Lelio e Lisli Basso

Gramsci e la Cina. Gramsci in CinaFrancesca CongiuUniversità di Cagliari

Gramsci e il movimento dei lavoratori a Taiwan: un modellodi analisi storicaEnrico LobinaUniversità di Cagliari

Antonio Gramsci in Cina e l’opera di Tian Shigang

Conclusione dei lavori