Protezionismo, sovranismo e tanti equivoci su Gramsci.

Sollecitato al dibattito da un mio caro amico, dico la mia qua brevemente (rinviando una trattazione più sostanziosa in altre sedi e con altre forme) su un tema molto caro oggi al composito e contraddittorio movimento sovranista italiano, all’interno del quale l’eclettica interpretazione di Gramsci di Diego Fusaro trova un certo diritto di cittadinanza: la convinzione di poter risolvere molti degli attuali propri problemi attraverso il protezionismo e la semplice riaffermazione della propria sovranità nazionale minacciata. Una risposta comprensibile, visti gli effetti sismici di questa lunghissima “crisi organica” ancora in corso, ma appena una pia illusione astrattamente politica, che poco tiene conto di come è strutturata l’economia mondiale di oggi, tanto più per un Paese come il nostro, storicamente privo di materie prime. Tutta questa enfasi sulle relazioni commerciali, prescindendo dal modello di sviluppo, dal come, perché e per chi produrre quanto meno insospettisce. La stessa strumentalità dei liberisti globalisti di moda qualche anno fa sembra riemergere oggi, con un segno opposto e speculare ma con la stessa struttura ideologica. Pensare di risolvere l’attuale crisi mondiale con il protezionismo o rilanciando il liberoscambio, tralasciando la centralità del conflitto capitale lavoro e mantenendo immutati gli attuali rapporti sociali di produzione e (soprattutto) distribuzione della ricchezza è segno o di superficialità o, in alcuni attori sociali, di malafede. L’unica alternativa valida alle contraddizioni del capitalismo resta il socialismo. In quanto tale, non è progressivo né il protezionismo né il liberoscambismo.

Oltre a questo penso ci sia una buona dose di smemoratezza o poca conoscenza di cosa ha rappresentato il protezionismo nella storia d’Italia, al punto da attribuirgli potenzialità taumaturgiche e progressive. In questa contraddizione vedo una parte delle incomprensioni di Fusaro sull’eredità del pensiero gramsciano, dalla quale deriva la sua aspirazione a far cadere ogni barriera tra fascismo e anti-imperialismo servendosi proprio di Gramsci. In tutta Europa (dalla Grecia alla Francia, dall’Est europeo alla Germania) abbiamo la riemersione di gruppi che si richiamano in forme larvate, dissimulate o palesi al fascismo (con una forza elettorale inedita rispetto a tutto il dopoguerra), capaci di conquistare consensi crescenti nelle periferie, tra i lavoratori e i ceti popolari, eppure per alcuni il tema dell’antifascismo sarebbe chincaglieria da museo non al passo con i tempi. Anzi, secondo loro bisognerebbe chiedere ai rappresentanti di questi movimenti di appoggiare la clava per discutere assieme di anticapitalismo e sovranità nazionale. Di fronte a questo analfabetismo politico di ritorno, alimentato ad arte dall’ambiguità di chi continua ad ammiccare a quel mondo, per fare da ponte con l’altro, “mettere i puntini sulle i” non è esercizio sterile.

Gramsci criticò sempre duramente il protezionismo, perché dietro intravvedeva la moneta di scambio e il fondamento organico su cui si reggeva il Blocco storico tra la borghesia industriale del Nord e i ceti arretrati della proprietà terriera del Sud, con tutte le sue forme insane di dominio e sfruttamento inumano della miseria agraria. Gli equilibri passivi e conservatori dell’Italia, dall’Unità sino al fascismo, si basavano proprio su questa santa alleanza parassitaria tra le classi dirigenti nazionali responsabile del drenaggio permanente di quote enormi di ricchezza prodotta per sostenere intere stratificazioni di classi improduttive. Nelle note su “Americanismo e Fordismo” Gramsci descrive l’essenza della società meridionale proprio per la sopravvivenza di classi generate dalla ricchezza e complessità della storia passata, che aveva lasciato un mucchio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina e dell’esercito

Il compromesso tra industriali e agrari, reso possibile dal protezionismo, attribuiva alle masse lavoratrici del Mezzogiorno la stessa posizione delle popolazioni coloniali; per esse il Nord industrializzato era come la metropoli capitalistica per la colonia; le classi dirigenti del Sud (grandi proprietari e media borghesia) svolgevano la stesa funzione delle categorie sociali delle colonie alleate con i coloni per mantenere la massa del popolo soggetta al proprio sfruttamento. Tuttavia, nella prospettiva storica, questo sistema di compromesso si rivelò inefficace perché si risolveva in un ostacolo allo sviluppo dell’economia industriale e di quella agraria. Ciò ha determinato in diverse fasi livelli molto acuti di lotta tra le classi e quindi la pressione sempre più forte ed autoritaria dello Stato sulle masse.

L’egemonia del Nord sul Sud, si legge nel Quaderno 1, avrebbe potuto assolvere una funzione positiva e progressiva se l’industrialismo si fosse posto l’obiettivo di ampliare la sua base di nuovi quadri, incorporando, non dominando, le nuove zone economiche assimilate. In tal senso l’egemonia del Nord sarebbe stata espressione di «una lotta tra il vecchio e il nuovo, tra il progressivo e l’arretrato, tra il più produttivo e il meno produttivo». Una dinamica di questo tipo avrebbe potuto innescare o favorire una rivoluzione economica con carattere nazionale, al contrario l’egemonia non ebbe carattere inclusivo, ossia finalizzata a far venir meno quella distinzione, ma «permanente», «perpetua», nel senso di reggersi su un’idea di sviluppo diseguale tale da rendere la debolezza del Sud un fattore, indeterminato nel tempo, funzionale alla crescita industriale del Nord, come se il primo fosse una appendice coloniale del secondo.

Questo vincolo organico, questa alleanza innaturale, impedì la dialettica (caratteristica delle forme classiche di capitalistico) tra due classi che non dovrebbero essere permanentemente alleate, ma contrapposte, salvo congiunture particolari. In Gran Bretagna dalla dialettica tra industriali e agrari si è originata anche la storia dei partiti e quella parlamentare. In Italia non esisteva la rotazione su base parlamentare, la formazione delle classi dirigenti avveniva per assorbimento e cooptazione fiduciaria, tramite il trasformismo, di singole personalità negli equilibri passivi del Blocco storico. Ciò per Gramsci accadde con i democratici mazziniani, durante e dopo il Risorgimento, quindi si ripeté con i riformisti, il mondo cattolico e infine con il fascismo.

Per questo, infatti, ciclicamente, alle più gravi crisi del giovane Stato unitario (governo Crispi, crisi di fine secolo, ingresso nella prima guerra mondiale, avvento del fascismo) si rispondeva anzitutto con soluzioni extra o antiparlamentari. Senza il protezionismo, dunque, non si spiega la Questione meridionale, né si comprendono le forme di assoggettamento coloniale del Nord verso il Sud. Non casualmente la guerra doganale con la Francia colpì proprio le realtà più dinamiche, le produzioni più qualificate (non assimilate quegli equilibri passivi tradizionali e dunque non protette) dell’economia meridionale. Nella Sardegna, in particolare, il protezionismo coincise con il crollo del suo sistema bancario, la creazione dei monopoli caseari, la gestione schiavista e coloniale delle risorse minerarie. In definitiva, negli degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, nel vivo della guerra commerciale con la Francia, la regione in cui nacque (1891) e si formò Gramsci, ridusse le proprie esportazioni del 70% trovandosi in una delle sue fasi storiche di maggior crisi e miseria (prolungatasi nell’inizio del nuovo secolo). Senza il protezionismo non si spiega nemmeno la funzione storica del fascismo: garantire la sopravvivenza di due classi improduttive altrimenti destinate ad essere spazzate via dallo sviluppo capitalistico: la piccola borghesia e gli agrari, vera base sociale del movimento di Mussolini.

Pensiamo veramente che le classi dirigenti di oggi (politica e imprenditoriale) siano molto più progressive e meno parassitarie rispetto a quelle di allora, ossia capaci di ragionare come “classe nazionale”, non incline a lucrare con brama speculativa sulle opportunità offerte dal protezionismo economico? Guardandomi intorno, io qualche dubbio lo nutrirei.

Con tutto questo non intendo riaffermare i valori del liberoscambio, come soluzione rivoluzionaria dei nostri problemi di oggi, ci mancherebbe, semmai richiamo l’attenzione su quanto, spesso, siano vuote e poco fondate storicamente alcune parole d’ordine lanciate strumentalmente in pasto all’opinione pubblica. Presentare il liberoscambismo o il protezionismo come panacee di ogni male penso sia illusorio o peggio dettato da malafede. In questo pezzo mi sono limitato a mostrare cosa ha rappresentato il protezionismo nella storia d’Italia (secondo Gramsci) in ragione della natura parassitaria delle sue classi dirigenti, delle forme malsane di sfruttamento della miseria meridionale, degli equilibri sociali passivi connaturati a questo blocco sociale.

Certi “innovatori”, passati recentemente dal comunismo al “sovranismo”, pensano di essere particolarmente originali, in realtà il social-patriottismo non presenta niente di nuovo nella storia, anzi. L’ “assunzione di responsabilità di fronte alla nazione” e un malinteso patriottismo, incapace di vedere gli interessi materiali, dunque le mire imperialiste del proprio Paese, sono alla base della capitolazione della Seconda Internazionale dei lavoratori alla vigilia della Prima guerra mondiale. Anche allora il concetto di Patria (intesa in termini socialmente neutri) soverchiò quello di socialismo e l’idea di Popolo prese il posto di quella di classe, così i partiti socialisti europei non solo votarono in Parlamento i crediti di guerra (esortando “i proletari di tutti i Paesi” a spararsi tra loro anziché unirsi), ma arrivarono ad assumere ruoli ministeriali nei governi bellici. Ci si riflette poco, ma anche questa resa indecorosa è tra i cortocircuiti ideologici responsabili della nascita del fascismo e di tante baggianate concettuali di cui si nutrì il mascellone epilettico, come la supposta dialettica tra “giovani nazioni proletarie” e decrepite “potenze plutocratiche”, attraverso la quale si pretese di sostituire la lotta tra le classi con quella tra le nazioni.

Il paradigma della globalizzazione, forma recente e moderna di “falsa coscienza” della borghesia mondiale, ha prodotto in sequenza due risposte: il movimento “No global”, nella sua fase giovanile; il “sovranismo”, in quella senile. Al di là delle differenze in termini di radicalità nei contenuti e nel linguaggio adoperato, entrambe recano al proprio interno molteplici e contraddittorie influenze, alcune delle quali riconducibili proprio alla concezione che si vorrebbe contestare. Anzitutto la professione “anti-ideologica”, l’affermazione perentoria sul tramonto di ogni vecchia, sorpassata e inattuale contrapposizione ideologica, la cui traccia originaria è ben riconoscibile proprio nella fallimentare teoria sulla “fine della storia”. Già quando definiamo non ideologica la nostra proposta politica, in realtà, stiamo dando corso a una chiara opera di mistificazione ideologica, tra l’altro per niente nuova né originale. Anche il primo fascismo si presentò con questa facciata. Non esiste prospettiva politica a-ideologica, ogni proposta per quanto confusa e contraddittoria sostiene una concezione più ampia, tuttavia, senza una visione organica e coerente del mondo non si va da nessuna parte e, prima o poi, le contraddizioni non risolte o nascoste sotto il tappeto presentano il conto. Ciò è avvenuto per il movimento No Global, di cui oggi abbiamo solo un vago ricordo, lo stesso accadrà per quello sovranista.

“Forma abstrata e dimensão material do Estado em Marx”. Revista Urutágua

Revista Urutágua –

Revista Acadêmica Multidisciplinar. Universidade Estadual de Maringá (UEM). N. 34, junho-novembro, Ano 2016. ISSN 1519.6178. 127

http://periodicos.uem.br/ojs/index.php/Urutagua/article/view/34313

Forma abstrata e dimensão material do Estado em Marx

Abstract form and material dimension of the state in Marx

 Gianni Fresu[1]

 

Resumo: Este artigo tem o objetivo de explicar o processo que leva Marx, a partir da Crítica à Filosofia do Direito de Hegel, a elaborar a ideia sobre a origem historicamente determinada do Estado e da Sociedade Civil, como consequência de específicas relações sociais de produção. Nesse percurso, que parte dos temas filosóficos, o estudo da economia política se torna um momento fundamental de desenvolvimento gnosiológico e conceitual, para o qual o encontro com Engels foi central, pois infundiu em Marx o interesse para a economia política e a história econômica. Para o esclarecimento da natureza das relações de produção sobre as quais se levanta a sociedade civil e o Estado, assume uma importância absoluta a elaboração da tese sobre a “falsa consciência”, que, ampliando o conhecimento das formas de governo e de direção por parte das classes dirigentes, contribui também para a ideia gramsciana da hegemonia.

 

Palavras-chave: Marx, Estado, hegemonia.

 

Abstract: The objective of this studie is explain the process that lead Marx from his Critique of Hegel´s Philosophy of Right to elaborate the idea of the historically determined genesis of the State and Civil Society as consequences of especific social relations of production. In this track, since philosophical themes, the study of the political economy became a fundamental moment of his gnosiologic and conceptual development, on wich the meeting with Engels was central, because infused in Marx the interest to the political economy and economic history. To clarify the nature of the relations of production on which rises the Civil Society and the State, the preparation of the thesis about the “false consciousness” assume an absolut importance, enlarging the knowledge of government forms and leading by managing classes and contribute to Gramsci´s idea of hegemony.

 

Keywords: Marx, State, hegemony.

 

O tema da sociedade civil e do Estado atravessa toda a investigação teórica de Marx, e também de Engels, a partir da afirmação sobre a natureza historicamente determinada dessas instituições alicerçadas nas relações de propriedade e, consequentemente, das formas da divisão do trabalho.

Podemos considerar, nesse sentido, o ano de 1846 e a Ideologia Alemã como um ponto de chegada que marca a sua maturidade, depois de um processo de desenvolvimento começado no início daquela década. Nessa obra fundamental, encontramos a primeira exposição sistemática da concepção materialista da história. Um processo evolutivo que avança a partir da crítica da filosofia de Hegel e da descoberta do materialismo filosófico de Feuerbach, materializado, em particular, primeiros trabalhos Crítica da Filosofia do Direito de Hegel e a Questão Judaica, realizados por Marx em 1843.

Brésil: “il y a tous les jours des manifestations contre le nouveau gouvernement de droite”

Entretien avec Gianni Fresu réalisé par Sébastien Madau, “La Marseilleise”, mercredi 26 octobre 2016

Le 31 août 2016, la présidente du Brésil Dilma Rousseff était destituée suite à un processus de destitution. Une démarche orchestrée par la droite et qui s’apparente à un coup d’Etat institutionnel. Deux mois plus tard, où en est le Brésil? La droite au pouvoir a-t-elle enclenché sa politique de régression sociale? Que reste-t-il de l’offensive contre la gauche gouvernementale? Et ce alors que le mouvement social est en train de se mobiliser face aux premières mesures libérales, notamment dans l’Education. Le point avec l’italien Gianni Fresu, professeur associé de philosophie politique à l’Université fédérale de Uberlandia (Brésil).

– La situation au Brésil a démontré qu’il n’était pas nécessaire de tirer des coups de feu pour opérer un coup d’Etat.
Effectivement. On note l’articulation d’institutions cuturelles (médias, fondations, intellectuels, éditeurs) que Gramsci définissait “appareils hégémoniques de la société civile”, dont la fonction consiste à former l’opinion publique, conserver les équilibres existants ou fomenter un climat de rejet envers les forces gouvernementales responsables d’avoir bouleversé ces vieux équilibres, en vue d’obtenir leur destitution. L’utilisation systématique et politique du pouvoir judiciaire, avec une manipulation médiatique permanente, ont atteint au Brésil des niveaux irréversibles. On travestit la réalité au service de la domination qu’on veut consolider. Aucun espace critique ou de resistance ne trouve de canaux officiels d’expression formelle, la lutte pour le monopole des organes destinés au formatage de l’opinion a été gagnée. Les militaires peuvent tranquillement rester dans leurs casernes, la liberal-démocratie a élaboré des instruments bien plus efficaces que les bruits de bottes et les marches au pas.
Au Brésil, il n’existe pas un journal qui ne soit aligné sur les intérêts du monde de l’entreprise et des vieux équilibres socio-politiques. Il est encore plus difficile de trouver dans les télévisions des approches critiques. Le principal groupe TV national, Rede Globo, né sous la dictature, a été protagoniste de cette création d’un climat généralisé d’opposition à Dilma Rousseff et Lula. Au-delà du jugement subjectif sur le gouvernement écarté, il demeure une blessure, sur les règles démocratiques minimales, perpétrée sciemment à travers le rôle actif et militant des médias nationaux. Quand les appareils hégémoniques privés des classes dominantes se mobilisent, seuls comptent les rapports de forces entre majorité et minorité. Y compris sans aucune légitimité populaire. 

– La droite a réussi à destituer Dilma Rousseff. Au-delà du départ d’une présidente, quelles conclusions peut-on tirer de ce processus?
Cette opération avait deux objectifs. Le premier concerne le rôle à l’international du Brésil, au sein des Brics (Brésil, Russie, Inde Chine, Afrique du Sud). Ce n’est pas un hasard si la situation s’est accélérée quand ces nations ont annoncé vouloir créer une banque d’investissement propre capable de rester en dehors des règles du FMI et de la Banque mondiale. Les Etats-Unis ont la dette publique la plus élevée au monde qu’ils peuvent alimenter grâce au fait d’être les détenteurs de la monnaie au coeur de toutes les transactions internationales. Cette hypothèse, avec le risque de soustraire l’Asie, l’Afrique et l’Amérique latine du circuit du dollar représente un danger de mort pour Washington qui a, ce n’est pas un hasard, commencé à oeuvrer sur plusieurs fronts (Ukraine, Syrie, Hong Kong, Amérique latine) avec l’objectif de destabiliser les principes de ce bloc. Le second objectif porte sur les équilibres sociaux internes, menacés par une politique redistributive qui, malgré mille contradictions, était en train de créer un nouveau bloc social derrière le gouvernement parmi les couches sociales les plus pauvres et les zones territoriales les plus retirées.
Tout cela était inacceptable pour les classes qui depuis toujours font la pluie et le beau temps ou la traditionnelle élite politico-sociale des régions les plus économiquement fortes.

 

– Dilma Rousseff a été destituée pour des “erreurs” politiques mais rien d’illégal en soi. Comme si l’oligarchie avait profité de moyens constitutionnels à disposition pour éloigner un adversaire politique.
Beaucoup d’erreurs politiques ont en effet été commises. Parmi elles, celle d’avoir choisi comme vice-président justement Michel Temer qui est devenu président. C’est tout à fait le symptôme de la recherche continue d’un compromis a minima avec cette composante sociale du Brésil peu ouverte, elle, à se faire embarquer dans des changements sociaux substentiels. Que le Parti des Travailleurs (PT) ait montré beaucoup de limites dans son action gouvernementale ne fait pas l’ombre d’un doute. Mais ce n’est pas de ça dont il s’agit. Sinon, des gouvernements seraient renversés tous les ans ! Là, que ce soit l’offensive contre Dilma Rousseff, à travers la destitution sans fondement juridique, ou celle judiciaire contre Lula, elles font partie d’une attaque concentrique, multiple et articulée. Et quand les preuves manquent, on les fabrique. Il n’y a rien de concret du point de vue judiciaire, mais les médias ont créé un climat de haine qui, même si principalement destiné au PT, se nourrit de mots d’ordre anticommunistes et de haine de classe envers toute hypothèse de politique sociale redistributive. Il y a là une opération visant à déplacer économiquement, culturellement, ou au niveau international, le pays à droite. D’ailleurs, le juge Moro, protagoniste des actions contre Rousseff et Lula, est cité pour être candidat de la droite à la présidentielle.
La discussion au Sénat le 29 août dernier a montré une opération illégitime. Non seulement, la modulation de bilan contestée à Dilma Rousseff a été adoptée par les présidents précédents mais même par des gouverneurs d’Etats qui ont condamné cette pratique. Le reproche majeur serait sa responsabilité dans la crise économique du pays. Une objection politique pour émettre une sentence juridique.

 

– Qui sont les instigateurs de cette destitution? De quels secteurs proviennent-ils? N’étaient-ils pas impliqués dans des enquêtes pour corruption?
Il s’agit des traditionnels donneurs d’ordres du pays, à savoir la grande bourgeoisie industrielle et rurale même si le gros des manoeuvres de subversion de ces deux dernières années provient de la petite et moyenne bourgeoisie. Ils forment un bloc social pro-Américain, libériste, anticommuniste et traditionnaliste. Lors des manifestations anti-Rousseff, la dictature était fièrement revendiquée, et une des principales invocations était justement l’intervention de l’armée.
Le Brésil a à la fois une bourgeoisie dynamique, moderne et mondialisée, mais aussi de vieux secteurs parasitaires. La tendance cyclique et historique à la subversion réactionnaire, est exactement la conséquence de cette situation : les changements des rapports sociaux doivent intervenir en évitant rigoureusement l’irruption sur la scène sociale et politique des masses populaires qui, au contraire, devaient être rendues passive. A chaque fois, la solution aux crises a été trouvée dans des voies autoritaires et antidémocratiques.

 

– Qulles seront les premières mesures de la droite au pouvoir?
Le gouvernement Temer a déjà annoncé son agenda selon les recettes du FMI, ayant échoué en Argentine: réduire la dette en taillant radicalement la dépense publique dans la santé, l’école et l’université, la sécurité sociale et en privatisant ce qui reste de l’intervention de l’Etat. L’université publique, par exemple, ces douze dernières années, a été l’objet d’un projet de développement et a reçu de grands investissements pour fournir au pays une classe enseignante ample et articulée sur l’échelle nationale, mais également avec l’intervention économique pour favoriser l’accès aux classes sociales et composantes ethniques jusque-là exclues de la possibilité de faire de hautes études. Bien, le gouvernement a annoncé une réduction des financements d’environ 45% des ressources de l’Etat. Cela signe pratiquement la fin de ce système au bénéfice des universités privées, malgré leur piètre qualité, les énormes coûts pour y accéder et la sélection sociale.
Une autre annonce porte sur les rapports entre capital et travail. Et la volonté de les rééquilibrer en faveur du premier à travers l’augmentation du temps de travail, la baisse des salaires, la précarisation des contrats. Enfin, le gouvernement veut ouvrir au privé et aux capitaux étrangers les énormes resources naturelles dont dispose le pays et que les gouvernements PT avaient cherché à maintenir sous contrôle public. L’eau, le pétrole et les forêts sont dans le viseur des intérêts économiques spéculatifs qui ont soutenu le coup d’Etat. Ce sera certainement une coincidence mais le gouvernement a déjà programmé la discussion finale pour la privatisation de la réserve naturelle en eau de Guarani, une des plus grandes du monde, aux groupes Nestlé et Coca Cola.

 

– Quelle a été la réaction de la gauche brésilienne? Existe-t-il un mouvement social qui pourrait renverser ce processus ou faudra-t-il attendre les prochaines élections?
La réaction a été remarquable, vaste et dans tout le pays. Au contraire, je crois que la dramaturgie de ces événements a réimpulsé la participation populaire et l’activité de la gauche, qui dans la dernière période des gouvernements PT semblait assoupie et sur la défensive. Il ne se passe pas un jour sans manifestatons, déclarations et mobilisations contre ce coup d’Etat.

 

– Au-delà de ce coup d’Etat institutionnel, ne faudrait-il pas porter un regard sur l’action de la gauche au pouvoir? Quel est son bilan?
J’ai déjà évoqué les limites de son action. Quant aux aspects positifs, il y a des résultats incontestables, obtenus dans une période de forte offensive internationale du libéralisme, marquée dans les autres pays du monde occidental par une nette aggravation des conditions de vie et de travail, l’augmentation de la misère et de l’effet ciseau entre richesse et pauvreté. Sans oublier un recul des droits sociaux. Au Brésil, ces dernières années, le PIB a été multiplié par quatre, en permettant la création de 21 millions d’emplois, favorisant l’abandon du seuil de pauvreté absolu pour 35 millions de personnes, la construction d’un million et demi de logements sociaux et en brisant le filtre de classe qui empêchait les couches les plus pauvres d’accéder au système de formation.
On peut critiquer les modalités d’intervention, la fameuse “Bourse famille”, mais il est indiscutable que s’est produit une redistribution de la richesse inédite dans l’histoire du Brésil. Alors oui, dans un pays où une seule famille peut contrôler d’énormes propriétés et où les étendues servent à la spéculation, aucune démocratisation ne sera possible sans une réforme agraire. Rien que d’en parler au Brésil, c’est évoquer le diable, cela crée les conditions d’une guerre civile, mais cela reste la clé. Le Mouvement des Travailleurs sans terre représente une des bases les plus organiques, vives et dynamiques des gouvernements de ces douze dernières années. Toutefois, ni Lula, ni Rousseff n’ont donné suite aux projet de réformes essentiels de sa plate-forme programmatique, au contraire, ils ont souvent donné des signaux allant dans la direction inverse. Comme quand Dilma Rousseff a confié le ministère de l’Agriculture à un représentant lié aux grands groupes nationaux et multinationaux que contrôle de manière oligarchique le milieu rural.

 

– L’ancien président Lula pourrait-il jouer un rôle dans le futur du Brésil? Et Dilma Rousseff?
Difficile de répondre. Dilma Rousseff s’est défendue avec dignité des accusations à son encontre, en affirmant n’avoir eu peur que deux fois dans sa vie: quand elle a été torturée par les militaires sous la dictature et quand elle a découvert d’être atteinte d’un cancer. Elle a conclu son intervention en indiquant que son unique peur sera pour la mort de la démocratie dans son pays. Elle sort sans nul doute debout de cette affaire, en devenant un symbole de résistance et en récupérant ces soutiens populaires qu’elle avait perdus durant son mandat. Toutefois, la campagne médiatique contre elle et Lula est si forte que cela rend extrêmement difficile une nouveau défi à la première personne face à ce bloc social protagoniste de leur défenestration.

 

Entretien réalisé par Sébastien Madau: 

http://www.lamarseillaise.fr/analyses-de-la-redaction/decryptage/53845-bresil-il-y-a-tous-les-jours-des-manifestations-contre-le-nouveau-gouvernement-de-droite

Cronache di un Golpe

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Ci sono tanti modi per realizzare un colpo di Stato, non necessariamente con l’uso di scarponi e marce militari. Che il PT abbia palesato molti limiti nella sua azione di governo, sbagliando e dimostrando poco coraggio, è fuori di dubbio, ma non è questo ciò di cui si discute ora, altrimenti i governi verrebbero rovesciati ogni anno. Il punto fondamentale è che sia l’offensiva contro Dilma Rousseff, con il goffo tentativo di impeachment per il quale manca qualsiasi fondamento giuridico, sia quella giudiziaria a Lula, sono parte di un attacco concentrico molteplice e articolato. E, come sappiamo, quando le prove mancano si costruiscono. Non c’è nulla di concreto sul piano giudiziario, però i media hanno (ad arte e preventivamente) creato un clima di odio che, sebbene principalmente rivolto al PT, si nutre di parole d’ordine anticomuniste e di avversione di classe verso qualsiasi ipotesi di politica sociale redistributiva. E’ in corso un’operazione per spostare economicamente, culturalmente, e nelle relazioni internazionali, il Paese a destra.  Così, il giudice Moro, protagonista delle azioni legali contro Dilma e Lula, anch’esse sotto molti aspetti procedurali eversive, non è una parte terza, al contrario, è una figura riconducibile al mondo della destra liberista, non casualmente già si fa il suo nome come candidato alle prossime presidenziali a capo di quel blocco sociale.

Ora il golpe-impeachment contro Dilma va verso il suo surreale finale: un parlamento, corrotto sino al midollo, mette in stato d’accusa il presidente legittimamente eletto appena due anni fa per una modulazione del bilancio sempre adottata dai suoi predecessori. A prescindere dal giudizio soggettivo sul governo disarcionato con la forza, resta una ferita alle regole democratiche minime, perpetrata scientemente grazie al ruolo non solo attivo ma militante dei principali media nazionali. Le tanto decantate norme procedurali e garanzie costituzionali, tipiche della retorica liberaldemocratica, evaporano. Quando si mobilitano gli apparati egemonici privati delle classi dominanti, contano solo i rapporti di forza (delegati) tra maggioranza e minoranza, anche se frutto di pratiche trasformistiche, effimere e prive di qualsiasi legittimazione popolare.

Superata anche l’ultima tappa di questa farsa, il governo, privo di qualsiasi legittimazione popolare e affermatosi brutalmente, violando norme e buon senso, procederà senza più alcun freno alla privatizzazione delle grandi risorse naturali nazionali. Acqua, petrolio e foreste sono nel mirino degli interessi economici speculativi che fanno il tifo per questo golpe. Sarà una semplice coincidenza, ma il governo illegittimo di Temer ha già calendarizzato, per il 12 settembre prossimo, la discussione finalizzata alla privatizzazione della riserva naturale di acqua del Guarani, una delle maggiori al mondo, ai gruppi Nestlé e Cocacola.  Ma si sa, i teorici del pensiero liberale hanno sempre affermato che la libertà dei cittadini è inversamente proporzionale all’estensione delle attività dello Stato; la cosiddetta sfera dell’individualità privata è “sacra e inviolabile”, specie perché dietro alla retorica sulle cosiddette libertà fondamentali c’è sempre posto per il proprio portafoglio.

Viste le premesse non c’era da dubitarne, così la discussione in Senato del 29 agosto, ha mostrato tutta l’evidenza di una operazione illegittima che si intende far passare come impeachment. Non solo quella modulazione di bilancio fu adottata dai presidenti precedenti, ma anche da governatori dei singoli Stati che ora, da senatori, contestano la stessa pratica negli atti della Rousseff. Il senso del pasticcio istituzionale trova però conferma anzitutto in un fatto che testimonia il cortocircuito procedurale in corso: la maggior reprimenda mossa (persino dall’avvocato dell’accusa) alla Presidentessa allontanata, sarebbe la sua responsabilità nella crisi economica del Paese (disoccupati, indebitamento statale, inflazione ecc., ecc.). Senza entrare nel dettaglio di una simile affermazione, chiaramente opinabile, si parte da una obiezione del tutto politica per emettere una sentenza di condanna giuridica, con una sovrapposizione dei due piani tale da far rabbrividire anche un profano di diritto costituzionale. Se in Italia dovessimo mettere in stato di accusa i presidenti del consiglio su questa base assisteremmo almeno a un procedimento di Impeachment all’anno.

Ma al di là di tutto, ieri, Dilma Rousseff si è difesa per 15 ore con decisione e dignità dalle accuse mossegli, affermando di aver avuto paura due sole volte nella sua vita: quando fu torturata e seviziata per giorni dai militari, durante la dittatura, e quando scoprì di avere il cancro. In questo momento, ha concluso, la sua unica paura è la morte della democrazia nel suo Paese. Come darle torto? Forse in Europa ancora non si comprende la gravità di quanto sta accadendo in Brasile e la necessità di una mobilitazione straordinaria di solidarietà internazionale. Purtroppo, temo, lo si capirà troppo tardi.

L’esito tragico e autoritario di questa vicenda, che sta buttando un enorme Paese sull’orlo della guerra civile, è parte di una strategia golpista seppure con le forme nuove di una realtà caratterizzata da un elevato sviluppo della società civile e dunque degli apparati privati di egemonia delle classi dominanti. Gramsci, nel Quaderno 13, lo chiarisce bene: per imprimere una svolta reazionaria negli equilibri passivi di un Paese moderno sul piano degli apparati egemonici, non è necessario un Golpe militare di tipo tradizionale. Piuttosto torna centrale la funzione preventiva e politica della polizia e degli apparati giuridici, unitamente al controllo monopolistico degli organi preposti alla formazione dell’opinione pubblica.

“Nel tempo fino a Napoleone III le forze militari regolari o di linea erano un elemento decisivo per l’avvento del cesarismo, che si verificava con colpi di Stato ben precisi, con azioni militari ecc. Nel mondo moderno, le forze sindacali e politiche, coi mezzi finanziari incalcolabili di cui possono disporre piccoli gruppi di cittadini, complicano il problema. I funzionari dei partiti e dei sindacati possono essere corrotti e terrorizzati senza bisogno di azione militare in grande stile, tipo Cesare o 18 brumaio (…) l’espansione del parlamentarismo, del regime associativo sindacale e di partito, del formarsi di vaste burocrazie statali e private (politico-private, di partiti sindacali) e la trasformazione avvenuta nell’organizzazione della polizia in senso largo, cioè non solo del servizio statale destinato alla repressione della delinquenza, ma dell’insieme delle forze organizzate dallo Stato e dai privati per tutelare il dominio politico ed economico delle classi dirigenti. In questo senso, interi partiti «politici» e altre organizzazioni economiche di altro genere devono essere considerati organismi di polizia politica, di carattere investigativo e preventivo”.  (Antonio Gramsci, Quaderno 13, paragrafo 26, “Egemonia politico-culturale”)

La Seconda Scuola Internazionale di Studi dedicati a Gramsci

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“L’Unione Sarda”, 11/08/2016

Il pensiero di Antonio Gramsci ha portato la Sardegna in giro per il mondo, ora, con la Seconda Scuola internazionale di Studi Gramsciani (Ghilarza Summer School), (dal 5 al 10 settembre a Ghilarza), riporta un po’ di quel mondo da noi, in Sardegna. La GSS, nata dalla collaborazione tra l’Associazione Casa Museo Antonio Gramsci di Ghilarza, la Fondazione Istituto Gramsci (Roma), l’International Gramsci Society (IGS) e il Laboratorio di Studi internazionali gramsciani dell’Università di Cagliari, e con il sostegno finanziario della Fondazione di Sardegna, è oramai una realtà consolidata e riconosciuta a livello internazionale.

Come sappiamo, il 2017 sarà l’Ottantesimo anniversario della morte del pensatore sardo e questa iniziativa apre, anticipandole, le celebrazioni dell’anno gramsciano richiamando studiosi e docenti da tutto il mondo nel piccolo centro del Guilcer. L’attività della GSS è resa feconda dall’incontro tra approcci e metodologie diverse suscitate dall’opera di Gramsci nei diversi Paesi. I docenti della Scuola sono così nomi illustri del firmamento gramsciano mondiale, come Joseph A. Buttigieg (University of Notre Dame, Indiana/USA), Giuseppe Cospito (Università di Pavia), Romain Descendre (ENS, Lyon), Gianni Francioni (Università di Pavia), Fabio Frosini (Università di Urbino), Francesca Izzo (Università di Napoli “L’Orientale”), Anne Showstack Sassoon (Birkbeck, University of London), André Tosel (Université de Nice Sophia Antipolis), Jean-Claude Zancarini (ENS, Lyon), Cosimo Zene (SOAS, University of London).

Gli studenti che parteciperanno ai lavori sono stati scelti secondo i termini di un bando che ha assegnato 15 borse, sulla base dei progetti di ricerca e dei curriculum vitae presentati, alla fine di un lungo processo selettivo curato dal Comitato Scientifico della GSS con domande provenienti da tre continenti. Del corpo di studiosi cui è stata attribuita la borsa, 4 provengono dall’Italia, 6 dall’America Latina (3 dal Brasile, 2 dall’Argentina e 1 dal Messico), 2 dagli USA, 2 dalla Francia e 1 dall’Inghilterra. Al di là dei momenti seminariali, la GSS ha previsto alcuni incontri pubblici con i suoi docenti, per coinvolgere non solo gli addetti ai lavori ma anche quanti avessero semplicemente interesse a intercettare questo momento di discussione e approfondimento.

Ad ogni edizione i lavori della scuola sono definiti attorno a un argomento, quello di quest’anno ha per titolo “L’estensione della ideologia: folclore, senso comune, buon senso, filosofia”. Un plesso tematico ricco nel quale rientrano ambiti disciplinari differenti e da cui si dipanano alcuni nodi essenziali relativi ai rapporti tra dominio ed egemonia, contribuendo a definire in forme più complesse e moderne il concetto stesso di ideologia. Una visione più ampia dunque, alla luce delle diverse articolazioni culturali nella società civile e delle forme consapevoli o spontanee, organiche e coerenti o contraddittorie, in cui si formano le diverse visioni del mondo tra loro in conflitto. Proprio a partire da questa complessità, Gramsci ha studiato quanto l’esclusività delle funzioni intellettuali, la tendenza a presentare il sapere, la filosofia “il dirigere” come un qualcosa di riservato a una casta specializzata, sia uno tra i più formidabili strumenti di governo sulle grandi masse popolari. Ogni uomo è un filosofo secondo Gramsci, partecipa a una determinata visione del mondo, aderisce a quella «filosofia spontanea» che si compone del linguaggio, del «senso comune» e del «buon senso», della «religione popolare» nella quale si manifestano le opinioni, le superstizioni, le credenze proprie di ciò che viene definito folclore. Tuttavia questa «filosofia spontanea» è imposta agli individui meccanicamente dall’ambiente esterno  e dai gruppi sociali a cui questi appartengono fin dal loro ingresso «nel mondo cosciente», dunque perché i subalterni acquisiscano piena coscienza di sé devono andare oltre la «filosofia spontanea», giungere al momento della critica e della consapevolezza, la sola capace di determinare la loro trasformazione in soggetti attivi e protagonisti dei processi storici.

Questioni non oziose, o di archeologia intellettuale, ma estremamente attuali, perché centrali e operative nelle società moderne dominate dai grandi mezzi di comunicazione di massa, il cui approfondimento ci aiuta a leggere in maniera più unitaria, meno superficiale ed episodica, gli aspetti essenziali della realtà culturale, sociale e politica che ci circonda.

 

Gianni Fresu

professore associato Universidade Federal de Uberlandia (MG/Brasil), Comitato Scientifico GSS