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Il nostro 11 settembre. Tra strategia della tensione e album di famiglia ritoccati.

Il nostro 11 settembre.  

Tra strategia della tensione e album di famiglia ritoccati. 

L’11 di settembre è una data marchiata col sangue sul calendario, oggi tutti la associamo all’attacco alle torri gemelle, ma fino al 2001 era l’esempio più lampante di cosa fosse capace una politica folle come quella messa in atto dal Governo degli Stati Uniti d’America nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. L’11 settembre del 1973 non è un unicum di questa storia, prima c’era stato il 31 marzo 1964 in Brasile, dopo il 24 marzo del 1976 in Argentina. Ma la “guerra sucia” non fu confinata agli esotici paesaggi dell’America Latina. Negli stessi anni e con la medesima regia, essa fu combattuta con uguale intensità anche in Italia e solo per un puro caso non celebriamo un nostro 11 settembre, in compenso nessuno di noi può dimenticare la data del 12 dicembre 1969.

La storia italiana del dopoguerra – con le limitazioni alla propria sovranità e l’interdizione ad una normale dialettica politica – è stata spesso incasellata nella definizione di «democrazia bloccata». Tale quadro, in gran parte dei casi, è stato ricondotto esclusivamente ai condizionamenti imposti dal fronteggiarsi sul piano internazionale dei due blocchi contrapposti e alla conseguente articolazione interna di tale scontro, veicolata dai due grandi partiti di massa italiani: la DC e il PCI. Se tutto questo non può che trovare puntuale conferma sul piano storico, esso costituisce solo una parte, seppur quella predominante, delle cause di ingessatura democratica del paese. Sicuramente le pagine più oscure della «guerra a bassa intensità» combattute in Italia nell’epoca della guerra fredda avevano un concorso di cause solo in parte riconducibili a Roma, tuttavia, anche se si accettasse integralmente questa ipotesi, ciò chiamerebbe comunque in causa una debolezza congenita delle classi dirigenti italiane incapaci di resistere a sollecitazioni esterne di tale gravità. L’utilizzo da parte di apparati non secondari dello Stato di strumenti coercitivi legali e illegali e la pianificazione della strategia della tensione, per la difesa dello stato di cose esistenti, sono il segno evidente di un deficit di egemonia.

Il formarsi degli intrecci da cui si dipanano i rapporti tra violenza politica e potere nel secondo dopoguerra d’Italia si ha nello scenario definito nel 1947 dalla Dottrina Truman. Una prima data emblematica in tal senso è il 31 maggio 1947, essa segna l’estromissione di PCI e PSI dal governo ed è successiva di sei mesi alla visita di De Gasperi a Washington. «Si archiviava definitivamente, quel 31 maggio 1947, la realtà politica uscita dalla Resistenza; cominciava una dura stagione della Repubblica». Più precisamente la “guerra politica segreta” – espressione che compare nei memorandum del National security Council (la struttura americana di “contenimento del comunismo”) – inizierebbe nell’autunno 1947.

Una guerra – sociale, economica, culturale, morale – non dichiarata; a “bassa intensità” militare ma ad alta valenza politica che fu combattuta nel nostro paese a partire dalla fine degli anni ’40 e, con graduazioni e modificazioni anche sostanziali, almeno fino agli anni ’70, quando l’evoluzione del quadro internazionale gli fece perdere gran parte del retroterra e degli obblighi internazionali che le motivavano e, con ampie strumentalizzazioni personali e politiche ai fini interni, la giustificavano[1]

“La guerra psicologica” contro il comunismo era ovviamente rivolta su due fronti: quello esterno riguardava essenzialmente l’URSS; quello interno mirava depotenziare la presenza dei comunisti in Occidente con una attenzione particolare rivolta a Italia e Francia. A tal fine Harry Truman da vita nel 1948 all’Nsc e quindi al «Piano Demagnetize». Dall’analisi dei documenti emergerebbe non solo il ruolo protagonistico degli USA, ma anche l’assoluto coinvolgimento dello stesso governo italiano, il quale sarebbe perfino giunto a sollecitare un intervento armato dell’esercito americano, come risulterebbe da una risposta (negativa) della Casa Bianca al governo italiano del 20 aprile 1948. Tra le documentazioni, in gran parte rinvenute da Nico Perrone (De Gasperi e l’America. Un dominio pieno e incontrollato, Sellerio, Palermo, 1995) si fa riferimento anche agli “unvochered founds”, vale a dire i finanziamenti in nero. La nascita della rete Gladio/Stay behind, è il frutto di un’azione combinata di USA, Gran Bretagna e Italia all’interno della quale il ruolo del Governo De Gasperi è tutt’altro che secondario o subordinato, come documentato  dall’incontro avvenuto a Roma il 29 dicembre del 1947, tra De Gasperi e Antony Eden nel quale il primo dichiarava di aver «incaricato uno dei nuovi vicepresidenti del Consiglio e leader del Partito repubblicano [Randolfo Pacciardi] di agire in qualità di presidente di una sorta di comitato per la difesa civile». Nel contesto di «guerra a bassa intensità» che la contrapposizione per blocchi determinava, rientrava anche un disegno di legge presentato nell’ottobre 1950 dal Ministro dell’Interno Scelba inerente «disposizioni per la difesa della popolazione civile in caso di guerra o di calamità». Si trattava dell’attuazione dell’articolo 3 del Patto Atlantico , esso «impegnava i contraenti ad adottare, con uniformità criteri organizzativi, predisposizioni e misure atte a migliorare la resistenza interna». La legge Scelba attribuiva al Ministero dell’Interno un ruolo di eccezionale preminenza nello stesso Consiglio dei Ministri e più in generale nel funzionamento degli apparati statali, dando vita ad una zona grigia  di sovranità parallela senza garanzie di verifica democratica. Attraverso il Disegno di Legge il Parlamento avrebbe dovuto concedere una ampia delega di poteri per una materia tanto delicata, come le garanzie della libertà dei cittadini e dei diritti civili più in generale, assegnando un ruolo debordante al Ministro dell’Interno sia per la sua centralità nel Governo sia la prerogativa riconosciutagli di scegliere personalmente, organizzare e dirigere, non solo la Polizia e Carabinieri ma anche una non ben identificata «milizia per la difesa civile».  In questo modo il Ministro sarebbe diventato titolare di prerogative e discrezionalità capaci di mettere in ombra lo stesso Presidente del Consiglio e sicuramente il Parlamento.

Nel 1951 a Washington De Gasperi sollecitò un’azione psicologica efficace per far comprendere che l’alleanza atlantica non era solo di tipo militare. Tra le azioni da condurre sul piano interno rientravano i licenziamenti dei lavoratori comunisti nel porto di Livorno, alla Fiat, negli arsenali di Taranto e La Spezia. Il segretario di Stato americano Dean Acheson a sua volta invitò il Ministro della difesa Pacciardi, sempre attivissimo su questo versante, a servirsi dell’aiuto dei due nuovi sindacati, CISL e UIL, nati nel 1950, per individuare e colpire i lavoratori comunisti che lavoravano per le imprese con commesse americane. Nel dicembre 1951-52 lo Psycological Strategy Board predispose il Piano Demagnetize, poi approvato dal segretario alla difesa nell’aprile. Esso prevedeva la creazione di una struttura di consultazione presso gli ambasciatori USA a Roma e Parigi, ed una serie di iniziative alcune delle quali erano qualificate come “operazioni paramilitari”.

La strategia della tensione ha rappresentato qualcosa di più del semplice succedersi delle stragi e dei connessi tentativi di colpo di Stato. Essa è stata, insieme, la più evidente manifestazione dei condizionamenti imposti alla sovranità del nostro Stato e il reagente che ha fuso in un’unica micidiale miscela le principali espressioni di devianza del potere (servizi deviati, poteri occulti, finanza corsara). Come scrive il giudice Guido Salvino: “tutti questi eventi non avrebbero potuto ripetersi se non fossero stati inquadrati in un disegno politico strategico comune, con tutta probabilità, il mantenimento del nostro paese nel campo dell’Alleanza Atlantica” [2].

Per iniziare a distinguere e riconoscere gli elementi di questa «micidiale miscela» la perizia della Commissione parlamentare stragi costituisce una pietra angolare. Soffermarsi in dettaglio sui risultati di tale perizia è fondamentale per poter poi affrontare il tema in termini più ampi, partendo però da un quadro storico e documentale solido ed attendibile. La documentazione attestante le modalità di contrasto del comunismo italiano è stata in gran parte pubblicata nella raccolta Foreign Relation of the United States, o sono comunque rintracciabili nei fondi del National Security Council. Il primo documento preso in esame è il rapporto del Nsc n.1/2  del 10 febbraio 1948. Tale direttiva prevedeva, nell’ipotesi in cui la penisola italiana fosse caduta in mano ai comunisti, un’azione articolata in sette punti e predisponeva un piano per il concentramento di forze in Sardegna o in Sicilia (o in entrambe le isole), con il consenso del governo italiano e a seguito di consultazioni con l’Inghilterra. La Sardegna sarebbe dovuta essere la “Taiwan del Mediterraneo”. Anche una vittoria legale, e non solo l’insurrezione da parte del Blocco popolare, avrebbe messo a rischio gli interessi e la sicurezza degli USA e anche per questa ipotesi dunque era predisposto un piano di interventi basato sulla pianificazione militare congiunta con altre nazioni e la fornitura ai gruppi anticomunisti di piena assistenza finanziaria e militare. Analoghi interventi erano presenti nelle direttive emanate dal Nsc del gennaio 1951, rispetto alle quali però è rimasto segreto il punto delle misure da adottare in caso di conquista legale del governo da parte del Pci, per alcuni omissis. Seguì poi il documento dell’Nsc 5411/2 in gran parte censurato.  Lo studio di tali documenti andava però integrata con altre disposizioni del Nsc definite «covert operations» del 18 giugno 1948. Si trattava di una serie di misure legali ed illegali rispetto alle quali non si sarebbe potuto e dovuto risalire alle responsabilità ultime del governo americano. Più precisamente la direttiva 10/2 parla di:

azioni preventive dirette, compresi sabotaggio, antisabotaggio, misure di demolizione ed evacuazione; sovversione contro Stati ostili, compresa assistenza a gruppi clandestini, gruppi di guerriglia e di liberazione di rifugiati, e appoggio ad elementi anticomunisti indigeni nei paesi minacciati del mondo libero[3].

Tali operazioni non includevano conflitti armati con forze militari riconosciute o riconoscibili, ma non escludevano certo l’impiego di metodi militari di contrasto. Il Nsc delegava per tali operazioni un settore della CIA denominato Office of Special Projects. La direttiva successiva del marzo 1954 prevedeva palesemente interventi di tale natura. In essa compare, sembra per la prima volta, l’espresione «Stay Behind» per indicare la struttura di contrasto anticomunista:

sviluppare la resistenza clandestina e facilitare operazioni coperte di guerriglia e di assicurare la reperibilità di quelle forze in caso di guerre, comprendendo, ovunque possibile, previsioni di una base in cui i militari possano espandere queste forze in tempo di guerra […] come a previsione di reti Stay Behind  e strutture per la fuga e l’esfiltrazione[4]

Nella stessa direzione operava il piano predisposto dalla commissione «C» del Psycological Strategy Board  per il governo italiano contro i cittadini di “orientamento sovversivo”. Esso prevedeva la rimozione dei comunisti dalle cariche amministrative, da scuole e università, degli enti assistenziali; la discriminazione delle ditte che impiegavano mano d’opera comunista; agire legislativamente e amministrativamente per prosciugare le fonti di reddito del PCI (interventi ad esempio finalizzati al fallimento delle cooperative e delle società import-export ad esso legate). Esso tuttavia prevedeva anche una serie di interventi del governo americano finalizzati a screditare il PCI e le organizzazioni ad essa legate; la distruzione delle figure di spicco e della rispettabilità del PCI; la compromissione dei comunisti che ricoprivano cariche pubbliche e la costruzione in laboratorio di scandali riguardanti i leader del PCI. Non è superfluo sottolineare, soprattutto se si tiene conto del dibattito storiografico-politico sulla Resistenza negli ultimi sessanta anni, che tale intervento espressamente si poneva l’obiettivo di screditare e sminuire il ruolo svolto dai comunisti nella liberazione dal nazi-fascismo durante la seconda guerra mondiale. Ma il documento che con maggior chiarezza delinea gli aspetti illegali dell’intervento – in caso di vittoria elettorale delle sinistre – è sicuramente il «supplemento B» al Field Manual 30-31, firmato il 18 marzo 1970 dal generale Westmoreland e sequestrato in una borsa della signora Maria Grazia Gelli nell’aeroporto di Fiumicino il 4 luglio 1981[5].

Mentre il Field Manual A si limitava a delineare le operazioni congiunte del governo USA e di quello ospite per garantirne la stabilità contro l’insorgenza, nel supplemento B, invece, si consideravano gli stessi enti del paese ospite come bersagli dei servizi dell’esercito USA. In questo supplemento era precisato che gli USA si sarebbero concessi una ampia gamma di flessibilità in materia di rapporti con il governo ospite, e a tal fine predisponeva operazioni di controinsorgenza «condotte in nome della libertà e della democrazia», nell’ipotesi di elezione di un governo ritenuto ostile. Nella definizione dei regimi da appoggiare si precisava la preferenza, di fronte all’opinione pubblica mondiale, verso il mantenimento di una «facciata democratica», anche non era certo una condizione imprescindibile per avere il sostegno del governo americano. Più in dettaglio, per soddisfare i criteri di sostegno USA, l’articolazione democratica doveva avere un prerequisito irrinunciabile, la posizione anticomunista sul piano interno e internazionale. Per predisporre una relazione coerente con gli intendimenti del governo americano il «supplemento B» indicava come obiettivo il reclutamento di membri di spicco delle agenzie di sicurezza del paese ospite, in qualità di agenti dei servizi USA, sollecitando questa azione verso gli ufficiali dell’esercito. In questa sottolineatura si può chiaramente delineare l’origine del fenomeno a lungo manifestatosi dei cosiddetti «servizi deviati». La tipologia di intervento prevista era strettamente clandestina e segnata da una dichiarata spregiudicatezza operativa: veniva prevista l’opera di infiltrazione tra le fila dell’estrema sinistra da parte di agenti dei servizi per rendere tali organizzazioni protagoniste di azioni violente, atte a superare le timidezze o le passività del governo ospite verso le organizzazioni di ispirazione comunista. Dunque l’infiltrazione e l’utilizzo spregiudicato dei gruppi di estrema sinistra era finalizzato a suscitare un clima politico favorevole alle azioni di contrasto e repressione. Una modalità di intervento riemersa nel documento Notre action politique, sequestrato nel 1974 a Lisbona presso la Aginter Press, organismo che, dietro la copertura di agenzia giornalistica, nascondeva in realtà una struttura di spionaggio e di «cover actions»,  programmando l’instaurazione del caos in tutte le articolazioni dello Stato sotto la copertura di organizzazioni radicali comuniste.

Sempre su questo piano, nel 1975, la Commissione Rockefeller preparò per il presidente Ford un documento, desecretato nel 1977, denominato «Chaos» che aveva il preciso scopo di infiltrare gruppi, partiti e associazioni della sinistra extraparlamentare in Italia, Francia, Spagna e Germania Ovest. Si trattava di un’operazione nata nell’agosto del 1967 il cui termine era previsto nel 1973. In più di un approfondimento è stata rilevata una strana  coincidenza temporale tra queste operazioni e l’inizio della strategia della tensione in Italia, prima con gli attentati alla Fiera e alla Stazione di Milano, quindi con  la strage di piazza Fontana.

L’approfondimento di questo quadro è essenziale per fornire una panoramica articolata del tema violenza e politica nel secondo dopoguerra, sia perché serve a delineare il piano di azione in difesa dello stato di cose esistenti, sia perché esso ha imposto una serie di implicazioni che oggettivamente sono riuscite ad inquinare lo stesso sviluppo delle organizzazioni della sinistra in rapporto a questo tema. Il punto nodale consiste nel comprendere (ma questo spetta a una ricerca più approfondita per la cui realizzazione occorrono anni) quanto l’infiltrazione e la pressione interessata verso le organizzazioni di sinistra, in modo da favorire l’acuirsi dello scontro in termini militari, abbia influito sul piano teorico e pratico nella vita di queste organizzazioni.

La documentazione sequestrata nell’archivio della VII divisione del Sismi, darebbe una prima risposta alla domanda fondamentale che emerge dalla vicenda di Gladio: la struttura non era esclusivamente finalizzata a proteggere il territorio italiano  da una possibile invasione di eserciti nemici, ma aveva una proiezione interna tutta orientata al contrasto di una possibile vittoria elettorale, e al conseguente ingresso nell’area di governo, della sinistra. A questo compito se ne affiancava un altro legato alla necessità di bloccare agitazioni e movimenti potenzialmente in grado di influire sulla collocazione internazionale del paese e sui suoi assetti socio-politici. Questo smentirebbe le affermazioni di dirigenti della struttura e dei servizi segreti, così come dei politici  avvicendatisi alla direzione del Ministero dell’Interno, secondo i quali Gladio aveva solo una funzione di difesa da possibili aggressioni esterne. Al di là di quella documentazione, questa versione sarebbe smentita dalla stessa storia dei gruppi che hanno preceduto Gladio, a partire dalla Osoppo, e della stessa rete Stay Behind. Così i dirigenti di Gladio periodicamente prendevano parte a stage negli Usa o in Gran Bretagna nei quali l’oggetto di studio era l’ideologia comunista e i diversi modi per contrastarne l’avanzata, sovversiva o democratica che fosse. La perizia curata da Giuseppe De Lutiis[6] riporta diversi appuntamenti di questo tipo. Anzitutto il corso tenutosi negli Usa tra l’ottobre e il novembre del 1957, al quale presero parte quattro ufficiali della rete, il cui tema di approfondimento era stato così sintetizzato dagli agenti italiani: «teoria e prassi del comunismo con particolare riguardo alle sue modalità di infiltrazione nei vari settori del paese, per la conquista democratica del potere. Le varie fasi per il consolidamento del potere in un territorio conquistato democraticamente e quelle per il consolidamento del potere in un territorio occupato militarmente». Ma oltre a questi corsi ci sono i verbali delle riunioni tra i capi di Gladio e i relativi documenti che attestano come l’obiettivo della difesa da aggressioni esterne diviene presto secondaria rispetto alla guerra psicologica interna. A questa finalità rispondevano i corsi di «counter-insurgency», dedicati agli aderenti della struttura Stay Behind, e alle relative esercitazioni come l’operazione «Delfino». Documenti del 1963, recuperati dalla Commissione parlamentare stragi, attestano chiaramente l’esistenza di corsi organizzati segretamente da apparati dello Stato per addestrare militari e civili a svolgere azioni di natura non precisata contro partiti regolarmente costituiti e presenti nelle istituzioni democratiche.

Essi erano finalizzati alla operatività degli agenti in funzione propagandistica, di contro-propaganda e di disturbo, ma anche alla predisposizione di altri corsi per militari e civili in modo da sviluppare presso gli ufficiali delle Forze Armate un’azione coordinata con le finalità dell’operazione Stay Behind. È da sottolineare la coincidenza temporale tra i corsi e l’intensa attività di arruolamento di personale civile per scopi non ben definiti da parte del colonnello Renzo Rocca, a capo dell’Ufficio Ricerche economiche ed industriali (Rei) del Sifar. Un’organizzazione nata per salvaguardare la  segretezza dei brevetti industriali di settori strategici, specie quelli di armi, ma nella realtà prodigatasi a rastrellare finanziamenti “antisovversivi” tra i grandi industriali, da ripartire poi a partiti, correnti, giornali, gruppi e singoli politici. Il rastrellamento di risorse era compensato poi con commesse militari, appalti e licenze per l’esportazione di armi[7]. Nella relazione della Commissione parlamentare sui fatti del giugno luglio 1964, era stato chiarito che nell’estate del 1963 il colonnello Rocca si era recato in Liguria e Piemonte a prendere contatti con ex militari, ex paracadutisti, ex militi della X Mas al fine di arruolarli nella struttura informativa, per conto del Sifar. Tutta questa intensa attività di arruolamento e addestramento di nuclei speciali era strettamente legata ai movimenti del Generale De Lorenzo. Si trattava di nuclei d’azione allestiti e subito operativi pronti ad intervenire in vista del colpo di Stato.

Sicuramente dietro al Piano Solo non c’era solo Gladio, ma esisteva una organicità tra la struttura e i piani di golpe. Non a caso De Lorenzo, a capo del Sifar tra il 1958 e il ’62, è stato di fatto il fondatore di Gladio. Di certo non è ipotizzabile che l’uso spregiudicato dell’Arma dei carabinieri e del Sifar per funzioni politiche di contrasto anticomunista potesse essere sconosciuto all’organismo ufficialmente preposto a quell’attività. Com’è noto, è confermato dallo stesso generale De Lorenzo,  qualora il colpo di Stato fosse andato a buon fine, i cittadini compresi nella famigerata lista nera (politici, sindacalisti, uomini della cultura di sinistra) sarebbero stati deportati proprio nella base operativa di Gladio a Capo Marrargiu. In questa realtà si inseriva poi Convegno sulla «guerra rivoluzionaria», svoltosi all’Hotel Parco dei Principi di Roma il 3-4-5 maggio del 1965, che è estremamente importante perché in essa si avvia l’incrocio perverso tra Forze Armate, servizi e le nascenti organizzazioni dell’eversione neofascista

Prima di quest’appuntamento, tra il 15 e il 24 aprile del 1963, si svolse nei pressi di Trieste la famosa esercitazione per azioni di insorgenza e contro insorgenza denominata «Delfino». L’operazione doveva intervenire a «contenere i germi» di una possibile insorgenza da parte di gruppi estremistici nel nord Italia. In realtà, anche in questo caso, dai resoconti e dai documenti, emerge che l’esercitazione era mossa da valutazioni e previsioni di interevento su situazioni politiche che esulavano totalmente dalle prerogative di una istituzione militare. Così si prospettavano i rischi legati all’affermazione di una amministrazione di centro sinistra a Trieste, venivano formulate proiezioni sull’andamento elettorale del PCI e si prospettavano ambiti di intervento possibili (propaganda e comunicazione) per contrastarne l’avanzata in vista delle elezioni amministrative. Questo insieme di elementi fornisce una conferma documentale e probatoria su una valutazione che in ambito politico era già una certezza: la limitazione costante della sovranità popolare e democratica nel nostro paese. Una limitazione espressasi attraverso l’esercizio sistematico della violenza che ha drogato il dibattito politico e condizionato la normale dialettica economico-sociale dell’Italia nel dopo guerra.

Il condizionamento violento della vita democratica e del corretto funzionamento istituzionale, ha portato apparati dello Stato a servirsi del sabotaggio contro le istruttorie della magistratura  per l’individuazione di mandanti ed esecutori delle stragi. Apparati dello Stato hanno preso parte a tentativi golpistici, hanno condotto operazioni di provocazione politica, hanno svolto attività di fiancheggiamento sostegno ed in alcuni casi di direzione dell’attività terroristica, hanno favorito la fuga all’estero dei presunti responsabili. Non si può non tenere conto di tutto questo nel considerare le intricate vicende del terrorismo in Italia, perché verrebbe meno una premessa fondamentale senza la quale la semplice analisi storica e concettuale sarebbe parziale, per non dire inutile. Oltre a presentare la rete Stay Behind come funzionale alla mera difesa da minacce esterne, gli alti ufficiali e i rappresentanti istituzionali coinvolti hanno cercato di limitare le proprie responsabilità attraverso il teorema delle «mele marce». Secondo questa tesi le violazioni della legalità e le più inquietanti zone d’ombra tra attività dello Stato ed eversione terroristica, sarebbero il risultato della spregiudicatezza operativa di cui singoli elementi dei servizi, rispetto alla quale né i vertici né la struttura più complessiva delle Forze Armate avrebbero colpe.

Anche su questo le indagini della Commissione parlamentare stragi hanno dimostrato altro, ponendo in luce non solo la responsabilità di singoli subalterni troppo zelanti, ma il coinvolgimento dell’intera catena di comando, così come è emersa la continuità storica delle “deviazioni operative”. Detta in altri termini, il turn over delle diverse generazioni di ufficiali dei servizi ha portato spesso le nuove leve a proseguire le attività illegali dei loro predecessori, pur nella consapevolezza che quel modo di operare era totalmente al di fuori dal diritto. Ciò è accaduto in diversi frangenti: nel 1968, quando i servizi hanno preparato il terreno alla stagione delle stragi, proprio mentre veniva alla luce lo scandalo Sifar di De Lorenzo; nel 1973, quando furono proprio i servizi ad attivare la rete delle organizzazioni eversive denominata Rosa dei venti, mentre emergevano le responsabilità oggettive di Piazza Fontana; nel 1978, quando i nuovi dirigenti dei servizi riformati ripresero da dove avevano lasciato i vecchi, proseguendo i tradizionali canali di illegalità, basti pensare alla strage di Bologna e a quella di Ustica.

Tra le tante continuità nell’azione dei servizi un posto d’onore spetta ai rapporti con la massoneria. Già Giuseppe Pièche – durante il fascismo  a capo della III sezione del Sim e uomo dell’Ovra – che nel dopoguerra è indicato come l’eminenza grigia del ministero dell’Interno, è stato a lungo Sovrano Gran Commendatore del rito scozzese di Piazza del Gesù. La perizia riporta lo stralcio di una lettera inviata da un importante massone del Grande Oriente che costituisce uno dei primi documenti capaci di portare luce sul fenomeno:

In occasione dell’Agape bianca tenutasi all’Hilton nella ricorrenza del 20 settembre, il fratello colonnello Gelli, della loggia “P”, avrebbe comunicato al fratello Salvini che il Gran Maestro avrebbe iniziato sulla spada quattrocento alti ufficiali dell’esercito al fine di predisporre un “governo dei colonnelli” sempre preferibile a un governo dei comunisti. Sarebbero anche stati iniziati o in via di esserlo anche alcuni grossi personaggi della DC[8] .

I riscontri oggettivi sul significato politico di questa iniziazione sono tanti, tra i vari, De Lutiis nella sua perizia cita la deposizione nel 1977,  al processo per la strage di piazza Fontana tenutosi a Catanzaro, del capo della polizia Vicari che parlò della minaccia di un golpe nell’estate del 1969 descrivendolo come uno dei più seri tentativi messi in opera al tempo. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta la loggia P2 diviene una realtà di confluenza e incontro tra figure eminenti della vita economica, politica, giudiziaria, militare ed eversiva del paese. In questo periodo si ha uno spostamento dei personaggi di spicco delle forze armate dalle logge tradizionali alla P2. Alla P2 aderiscono tutti i generali coinvolti nel Piano Solo del giugno luglio 1964 (Giovanni Allavena, Luigi Bittoni, Romolo Dalla Chiesa, Franco Picchiotti) mentre gli stessi generali Aloja e De Lorenzo aderiscono alla loggia coperta all’obbedienza di Piazza del Gesù, la quale confluisce a sua volta nella P2 nel 1973. Nella P2 confluiscono anche le due anime dei servizi segreti che vengono definite da De Lutiis una apertamente golpistica (quella guidata da Vito Miceli) e una apparentemente più fedele alle istituzioni (quella del capo dell’ufficio D, generale Maletti). Così come per il «Piano Solo», anche i promotori del tentato golpe «Borghese» erano tutti aderenti alla loggia P2 (il generale Miceli, Filippo De Iorio, gli ufficiali dell’aeronautica Giuseppe Lo Vecchio e Giuseppe Casero). Sarebbero stati massoni anche lo stesso Borghese, il suo braccio destro Remo Orlandini e l’ex ufficiale dei parà Sandro Saccucci, che ebbe un ruolo di primo piano nel fallito golpe. Come è noto parteciparono al tentato golpe lo stesso Gelli e l’ammiraglio Torrisi, il cui nome sarebbe stato cassato dall’elenco degli aderenti alla P2 al momento della pubblicizzazione, per volontà del Sid, che lo consegnò alla magistratura.

Un passaggio nodale del rapporto tra massoneria e ambienti militari sarebbe rappresentato dalla riunione tenuta a villa Wanda convocata da Licio Gelli. A quella riunione presero parte il generale Palombo, comandante della divisione carabinieri Pastrengo di Milano, il colonnello Calabrese, il generale Picchiotti, comandante della divisione carabinieri Podgora di Roma, il generale Bittoni, comandante della brigata carabinieri di Firenze, il colonnello Musumeci, diventato nel 1978 capo dell’Ufficio controllo e sicurezza del Sismi, e il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma Carmelo Spagnuolo. Pare che in quella riunione le aspirazioni golpiste dei congiurati passasse per un governo presieduto proprio dal magistrato Spagnuolo. A metà degli anni settanta si sarebbe però determinato un mutamento di strategia nella P2, in linea con il cambiamento degli Usa che ebbe come conseguenza l’abbandono dei regimi fascisti di Portogallo e Grecia, caduti poi nel giro di pochi mesi. In questa fase (1976) Licio Gelli avanza il “Piano di Rinascita Democratica”, non propone più il colpo di Stato militare “modello sudamericano” a conclusione di una fase convulsa di destabilizzazione terroristica, ma una riforma istituzionale più morbida e meno traumatica nelle modalità di attuazione. Insomma il passaggio del testimone dai militari ai più sofisticati strumenti di conquista egemonica della società: giornali, partiti, movimenti d’opinione, intellettuali mobilitati. Questo non significa certo che Gelli e la P2 abbandonino le relazioni oscure con l’eversione neofascista e con gli ambienti golpisti di esercito e servizi segreti, anzi. La componente piduista nei servizi dopo la riforma del 1977 è ancora più spregiudicata e aggressiva nelle sue attività illegali. L’operato del Sismi tra il 1978 e l’81 con a capo Musumeci, Santovito e con l’organica attività di Pazienza (non inserito in alcun ruolo istituzionale eppure uomo chiave dei servizi), riesce a moltiplicare i versanti di deviazione e iniziative illegali, non limitandosi più a proteggere latitanti di destra e sospetti autori di stragi. Le trattative con camorra e BR per l’operazione di Cirillo, i depistaggi sulle indagini alla strage di Bologna del 2 giugno 1980, le macchinazioni a danno del Presidente della Repubblica erano tutti il segno di un’articolazione sempre più intensa da parte del Supersismi. Tuttavia, il versante più inquietante dell’attività dei servizi resta senz’altro quello relativo ai rapporti strettissimi con la galassia dei gruppi eversivi neofascisti: da Ordine nuovo al Movimento di azione rivoluzionaria; dalle Squadre di azione Mussolini a Ordine nero; dal Fronte nazionale alla Rosa dei venti, dai NAR a Terza posizione.

Come dimostrano le vicende del famigerato “Centro Scorpione”[9] di Trapani, messo in piedi dagli stessi protagonisti di Gladio proprio in concomitanza con il Maxiprocesso, in questa storia un altro versante fondamentale di approfondimento riguarda il ruolo delle organizzazioni malavitose, dunque la trattativa Stato-mafia non può certo essere circoscritta alla stagione stragista dei primi anni Novanta. Come è oramai appurata la sinergia tra apparati dello Stato ed eversione neofascista per difendere gli equilibri politico sociali, consolidatisi a partire dalle elezioni del 1948, così il rapporto con organizzazioni malavitose come la mafia è un dato organico della storia di questo Paese, specie nelle sue fasi di crisi. Come altre volte in passato, la magistratura ha iniziato a fare chiarezza su certe inconfessabili modalità, del tutto antidemocratiche, di autodifesa del potere politico in questo Paese. Chiarite le verita processuali, speriamo, su questo dovranno interrogarsi gli storici in  futuro, indagando senza blocchi e autocensure le storie individuali e collettive delle classi dirigenti italiane con tutte le loro contraddizioni. Il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia sarebbe potuto essere un’occasione propizia per iniziare a farlo, purtroppo, in gran parte, si è preferita strada dell’agiografia, la rappresentazione retorica e oleografica di un grande album di famiglia nel quale tutti gli italiani avrebbero dovuto riconoscersi.

 

 


[1] Paolo Cucchiarelli -Aldo Giannulli, Lo Stato parallelo. L’Italia oscura nei documenti e nelle relazioni della Commissione stragi.. Gamberetti Editrice, Roma 1997, pp. 32, 33.

[2] Ivi, pag. 13

[3] Direttiva dell’Executive Secretary dell’Office of special Projects al National Security Council, del 18 giugno 1948. Volume IV, pag. 545

[4] Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, XI Legislatura, Vol.VII, Tomo I, pp. 287-298.

[5] Ivi, pag. 288-295

[6]Lo straordinario approfondimento di Giuseppe De Lutiis, che raccoglie il lavoro dello storico per la Commissione parlamentare stragi, risultante dallo studio delle 105.000 pagine sequestrate dalla magistratura negli uffici del Sismi, ha trovato pubblicazione nel testo: G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, associazioni politiche e strutture paramilitari segrete al 1946 ad oggi, Editori Riuniti, Roma, 1996.

[7] Ruggero Zangrandi, Inchiesta sul Sifar, Editori Riuniti, Roma, 1970.

[8] Lettera del 23 settembre 1969 inviata all’agronomo Prisco Brilli, consigliere  dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia, all’ingegnere Francesco Siniscalchi. Atti della commissione parlamentare sulla loggia P2.

[9] Tra le tante anomale articolazioni di Gladio, che meriterebbero attenzione e ulteriori approfondimenti – specie ora che riemerge con consistenza l’ombra inquietante dei servizi segreti sulla strage del giudice Borsellino e della sua scorta – c’è sicuramente il Centro Scorpione istituito dalla struttura di Gladio a Trapani nel 1987, proprio nel periodo in cui si celebrava il Maxiprocesso alla mafia (sviluppatosi tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987). Le anomalie mai chiarite di questo centro sono molteplici, tuttavia, nel periodo e nel territorio in cui operò il Centro Scorpione vi furono alcuni omicidi eccellenti ed emblematici insieme: Giuseppe Insalacco (per tre mesi sindaco di Palermo nel 1984), protagonista di clamorose denunce delle collusioni tra mafia e politica, ascoltato anche dalla Commissione antimafia. Insalacco fu ucciso insieme al suo autista il 12 gennaio 1988. Dopo la morte fu trovato un suo memoriale in cui accusava diversi esponenti della DC palermitana, per la commistione con la mafia nel sistema di gestione degli appalti e del potere cittadino; il giudice Antonio Saetta, impegnato in numerosi processi alla mafia. Saetta in particolare si trovò a presiedere il processo a Giuseppe Puccio, Armando Bonanno, e Giuseppe Madonna, per l’uccisione al capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Il processo, conclusosi in primo grado con una sorprendente e molto discussa assoluzione, decretò, invece, in appello, la condanna degli imputati alla massima pena, nonostante i tentativi di condizionamento effettuati sulla giuria popolare, e, forse, sui medesimi giudici togati. Pochi mesi dopo questa sentenza, il 25 settembre 1988, il Giudice Antonio Saetta e il figlio Stefano vennero assassinati; Giovanni Bontate – fratello del boss Stefano, secondo i collaboratori di giustizia molto vicino ai vertici nazionali e regionali della DC, assassinato nel 1981 – coinvolto nel maxiprocesso e ucciso insieme alla moglie il 28 settembre 1988; Mauro Rostagno, impegnato nella lotta per il recupero dei tossicodipendenti in Sicilia e in prima linea nel denunciare gli intrecci tra mafia e politica, ucciso il 26 settembre del 1988. Ora, anche senza lasciarsi andare a troppe congetture, è quantomeno singolare che una struttura d’intelligencedotata di mezzi (persino un aereo e una pista d’atterraggio a propria disposizione), operante in quel territorio, non fosse stata in grado di reperire informazioni utili prima e dopo i diversi omicidi. Nella struttura peraltro operava un agente di spicco come Vincenzo Li Causi, coinvolto in diverse vicende poco chiare e dai profili decisamente illegali.

 

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Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.